Sale la tensione tra Damasco ed Ankara. L'intervento delle milizie filogovernative ad Afrin, in difesa dei curdi, rischiano di creare un nuovo ed imprevisto fronte di guerra in Siria. Il pericolo, piuttosto concreto, è quello di gettare ombre sul tavolo 'politico' aperto con i colloqui di Astana e di Sochi che dovrebbero avere un seguito in sede ONU. La Turchia è uno dei tre garanti delle trattative tra il governo siriano retto da Bashar al-Assad e l'opposizione moderata, insieme a Russia ed Iran. I nuovi sviluppi potrebbero rompere questo fronte che, da oltre un anno, ha contribuito a creare un clima di distensione relativa tra Damasco ed i ribelli (sarebbe opportuno definirla una tregua armata).

Milizie pro-Assad ad Afrin, i turchi aprono il fuoco

Come previsto, le milizie vicine al governo siriano sono arrivate alle porte di Afrin, ma sono state costrette a ripiegare a causa dei colpi di avvertimento sparati dall'artiglieria turca. Ora si trovano a circa 10 km di distanza dal villaggio di Nabul, alla periferia di Afrin. L'accaduto è stato confermato tanto dall'agenzia Sana, principale organo di informazione del governo di Damasco, quanto dal media turco Anadolu.

Il 'Sultano' in difficoltà

Recep Erdogan è in seria difficoltà, forse per la prima volta nella lunga e tormentata storia della questione siriana. Finora è stato abile a saltare di palo in frasca, dall'alleanza di comodo con gli Stati Uniti, determinata dal fatto che la Turchia resta comunque un potente partner NATO, a quella ancora più conveniente con la Russia di Vladimir Putin.

Pur di recitare un ruolo da protagonista in quello che sarà il futuro politico della Siria ed accrescere in tal modo la sua influenza in Medio Oriente, Erdogan ha bevuto da un calice molto amaro che prevede la possibilità che l'odiato Assad rimanga alla guida del suo Paese, oltre alla certezza di doversi sedere allo stesso tavolo con l'Iran.

Un sapore acre sopportabile, però, se paragonato a quello molto più dolce di poter scongiurare la creazione di uno Stato curdo indipendente nel Nord della Siria. Ora però l'accordo tra i miliziani curdi dell'Ypg ed il governo di Assad lo ha decisamente spiazzato. Quest'ultimo si dimostra un abile stratega: stringendo un patto con i curdi compie un passo importante verso la riunificazione del Paese ad oggi diviso dai numerosi fronti di guerra.

Se Assad si è mosso in questa direzione, c'è il sostegno di Russia ed Iran. Mosca vede di buon occhio il consolidamento dell'influenza governativa siriana, ulteriore garanzia per i propri progetti politici e strategici come quello di rafforzare lo sbocco sul Mediterraneo. Teheran ha intenzione di creare una serie di postazioni militari in Siria tenendo aperto il canale con l'alleato libanese, le milizie Hezbollah, ulteriore segnale di crescita della mezzaluna sciita. Ankara, al contrario, non guadagna nulla: non potrebbe distruggere indisturbata le milizie Ypg che considera 'terroriste' e si ritroverebbe a rinunciare al progetto di estendere la propria influenza nel Nord della Siria. Inoltre la risalita politica di Assad allontanerebbe quella che, in fondo, è una speranza che Erdogan continua a nutrire nemmeno tanto segretamente e cioè che il presidente siriano si faccia da parte.

Una nuova guerra in Siria non è improbabile

A conti fatti, difficile che Erdogan accetti di assicurare ad Assad piena libertà di movimento a pochi km dal confine turco, men che meno accoglierà con favore l'ipotesi della permanenza delle milizie curde nello stesso territorio. Motivo per cui se le milizie pro-Damasco dovessero tentare l'ingresso ad Afrin, lo scontro con l'esercito turco sarebbe inevitabile. Stavolta Ankara ha intenzione di non fare troppi equilibrismi politici. "Se le milizie pro-Asssad entrano ad Afrin per eliminare i terroristi dell'Ypg sono le benvenute - ha detto a chiare lettere il ministro degli esteri turco, Mevlut Cavusoglu - ma viceversa, se tentano di proteggerli saranno attaccate dai nostri militari".

La 'palla' passa a Vladimir Putin

Alla luce di questa situazione che rischia di veder precipitare tutto ciò per cui il Cremlino ha lavorato negli ultimi due anni, l'intervento di Vladimir Putin potrebbe essere l'unico modo di dare luogo ad una soluzione praticabile. Una sorta di compromesso che possa andar bene tanto ad Erdogan quanto ad Assad. Al momento non è semplice nemmeno per un leader che in Medio Oriente ha fatto il bello ed il cattivo tempo, diventandone il vero punto di riferimento politico e militare. Quanto ai curdi, sono condannati per l'ennesima volta al ruolo di 'pedina': attaccati dai turchi, poco amati da Assad ed 'usati' dagli Stati Uniti nella guerra contro l'Isis. La mossa di Assad, diventato improvvisamente il loro 'protettore', è audace quanto logica: Damasco fa comprendere all'Ypg di essere l'unico partner credibile perché gli Stati Uniti li hanno sfruttati nella guerra allo Stato Islamico e poi lasciati al loro destino. Una scelta pericolosa, perché potrebbe dare il via ad una nuova guerra che, stavolta, nemmeno Mosca sarebbe in grado di fermare.