Una lite banalissima, quella che ha scatenato una violenta colluttazione tra due coinquilini e che ha poi portato alla morte di uno dei due. Non è ancora chiaro se tra i due vi fosse qualcosa di sentimentale tra i due, così come non è ancora chiaro il motivo che avrebbe spinto Alessandro Garlaschi, un dipendente dell' Atm locale di circa trentanove anni, a fiondarsi su Jessica (è questo il nome della vittima) con tanta violenza. Stando alle ultime affermazioni dell'uomo, la lite sarebbe scaturita per un motivo banale ed insulso: entrambi volevano guardare un film, ma non sono riusciti a trovarne uno di comune accordo.

Una dichiarazione che non ha convinto minimamente gli inquirenti e che, tutt'ora, lascia parecchie perplessità in coloro che hanno preso in mano il caso di questo macabro omicidio. La scena più macabra che si sono ritrovati di fronte gli inquirenti è stata quella che ritraeva il trentanovenne intento a nascondere il cadavere di Jessica Valentina Faoro all'interno di un borsone.

Un'altra dichiarazione assurda da parte di Garlaschi

Ad insospettire maggiormente gli inquirenti, oltre all'atteggiamento dell'uomo, sarebbe stata una precedente dichiarazione. "Abbiamo discusso mentre mi stava facendo una puntura per il diabete", avrebbe detto l'assassino alle autorità durante un primo interrogatorio, "non ci ho visto più e l'ho uccisa".

Una dichiarazione modificata poco dopo, durante un secondo interrogatorio che ha indotto poi gli stessi militari ad effettuare controlli in merito alla stabilità mentale di Alessandro Garlaschi. Stando alla sua successiva dichiarazione, la situazione sarebbe scappata di mano mentre cercavano di scegliere assieme un film da guardare e dopo che la ragazza lo avrebbe ferito.

"Le ho strappato il coltello di mano e l'ho uccisa per difendermi", queste sono le parole utilizzate in propria difesa. In entrambe le rivelazioni, l'uomo ha ammesso tranquillamente di avere ucciso la ragazza, ma cambiando di volta in volta il movente che lo avrebbe spinto a commettere tale azione. Parole che non fanno altro che accrescere la confusione nella mente degli investigatori che, sorpresi da questo continuo cambio di "realtà", hanno ipotizzato che si possa trattare di un tentativo, da parte del sospettato, di alleggerire le proprie colpe e la pena che potrebbe attenderlo al termine del processo. Situazioni che, tutt'ora, fanno riflettere e non poco.