L'Italia riconferma uno dei suoi peggiori primati nel campo degli investimenti. No, non si tratta del primo premio per la migliore startup, bensì di un triste terzo posto tra i paesi che investono di meno nell'istruzione pubblica. Nell'ultimo rapporto pubblicato da Eurostat sulle singole voci di spesa delle nazioni comunitarie aggiornato al 2016, il "Belpaese" non fa proprio una bella figura.
Per quanto di per sé sia desolante investire così poco nell'istruzione, ancor più deprimente è il fatto che da ben quattro anni siamo tra i peggiori Paesi dell'area euro, con il nostro 3,9% di prodotto interno lordo destinato al comparto cultura, seguiti solo da Slovacchia (3,8%) e Irlanda (3,3%).
La situazione migliora leggermente se guardiamo all'intera UE (compreso il Regno Unito), dove ci aggiudichiamo il quintultimo posto tra i paesi che investono di più.
Italia ed Europa a confronto
La media dell'intera Unione Europea di investimenti nell'istruzione è del 4,7%, quasi un punto percentuale in più rispetto al nostro dato. Se si considerano tutti i Paesi dell'area euro, invece, il risultato scende a 4,6%. Un numero comunque più alto del nostro, che dovrebbe spronare l'Italia ad attivarsi per raggiungere come minimo la media europea.
Notevole menzione per la Danimarca, che si aggiudica la testa della classifica europea con il 7% di Pil investito, seguita da Svezia (6,6%) e Belgio (6,4%).
Da notare come siano i paesi del Nord Europa ad investire maggiormente nell'istruzione.
Un tuffo nel passato
In generale, le spese legate all'istruzione si sono abbassate in tutta Europa: secondo i dati Ocse del 2015, l'Italia destinava circa il 4% del proprio Pil in questo campo, mentre in Europa la media era di circa il 4,9%.
Un quarto posto fisso all'interno della spesa pubblica italiana, dove si conferma il primato della protezione sociale con circa il 19,1%, seguita dalla salute con il 7,1% e dai servizi pubblici generali con il 6%.
Sembra quasi contraddittorio che uno dei paesi che ha contribuito maggiormente allo sviluppo scientifico e letterario del mondo, investa così poche risorse nel campo dell'istruzione.
Le conseguenze sono evidenti: continuano i flussi migratori degli studenti che cercano fortuna altrove, la cosiddetta "fuga di cervelli"; le eccellenze del nostro paese sono costrette ad affidarsi ad Università estere per finanziare i propri progetti.
Inoltre vi è un 24,3% di ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non si formano e non lavorano, i cosiddetti "Neets". È lampante come tutto questo inneschi un ciclo vizioso che induce gli studenti a non istruirsi, e lo Stato a non investire su di loro. Urge un cambio di direzione che veda l'istruzione come primo mezzo per la ricrescita di un paese che ha voglia di rimettersi in gioco.