Strutture militari danneggiate, la distruzione di due centri di ricerca farmaceutica e chimica, considerati da Washington probabili laboratori dove venivano sviluppate armi proibite. Danni contenuti ed una sorprendente dimostrazione di reattività da parte della contraerea siriana nonostante utilizzi sistemi di difesa della tecnologia bellica sovietica degli anni '80. Letto in questo modo, l'attacco coordinato da Stati Uniti, Regno Unito e Francia alla Siria va tradotto con un classico “tanto rumore per nulla”. In realtà l'intenzione era quella di limitare al minimo consentito i danni, di non uccidere civili e, soprattutto, evitare accuratamente di colpire strutture militari russe ed iraniane.

Un attacco 'chirurgico' e dimostrativo con cui Donald Trump è riuscito a catalizzare l'attenzione dei media internazionali, allontanandola dagli intricati gomitoli della sua discutibile politica interna e dalle inchieste che lo hanno colpito. A livello internazionale è il suo secondo 'botto', dopo l'atteso incontro che dovrebbe tenersi il mese prossimo con il leader nordcoreano Kim Jong-un. Questo però serve a poco, gli equilibri in Siria non si sono spostati di un millimetro. Bashar al-Assad ha vinto da tempo la sua guerra contro i ribelli e contro l'integralismo islamista, la Russia di Vladimir Putin ha il grande merito di averlo reso possibile. Motivo per cui, almeno dal punto di vista militare, Mosca non risponderà.

Scontro con i russi evitato con cura

I missili della 'triplice alleanza' che ha attaccato la Siria sono stati lanciati con dovuta cautela, ben lontani dalle basi militari russe. L'impulsività di Trump ha lasciato intendere che il raid sarebbe avvenuto, il tempo intercorso tra i suoi tempestosi tweet ed il lancio dei missili è stato utile per pianificare l'azione con cura ed evitare i rischi di un possibile scontro con le forze armate russe.

In ogni piano, anche nel più elaborato, esiste certamente un margine di errore che, nel caso specifico, non si è verificato.

La reazione contenuta di Mosca

La Russia ha ovviamente protestato per l'attacco, ha fatto convocare d'urgenza il Consiglio di sicurezza dell'ONU, ma non ne ha ricavato alcun vantaggio. La risoluzione proposta che condannava senza appello l'azione è stata bocciata, era prevedibile visto che soltanto Cina e Bolivia si sono schierate dalla parte del Cremlino.

Ha comunque preso le dovute contromisure mettendo i propri velivoli militari di stanza in Siria in stato da combattimento e prospettando di fornire alle forze armate di Damasco sistemi di difesa aerea più all'avanguardia. Per il momento la risposta militare si ferma qui, ma alla fine il rischio di arrivare allo scontro in campo aperto con gli Stati Uniti è un gioco che non vale la candela. Le truppe americane (circa 2.000 militari, ndr) lasceranno la Siria così come annunciato da Trump due settimane fa, a meno di clamorosi sviluppi che al momento sono poco probabili e Putin attende con pazienza che ciò avvenga. Nel frattempo il tavolo aperto con Iran e Turchia ha già iniziato a disegnare il futuro politico della Siria: un lavoro diplomatico incessante che ha portato al dialogo due ex nemici giurati come la Repubblica islamica degli Ayatollah ed il 'sultano' Erdogan.

Quest'ultimo si è reso disponibile ad accettare la continuità del governo di Assad pur di avere mano libera contro i curdi nel nord della Siria. Lo 'zar di tutte le Russie' sta lavorando da oltre due anni per questo obiettivo e non lo metterà a rischio, a meno di non essere attaccato a sua volta ed in maniera diretta da Washington.

Tanto rumore per nulla

Morale della favola, la Terza Guerra Mondiale non scoppierà, a meno che Stati Uniti, Regno Unito e Francia non intendano andare avanti nella loro opzione militare e si spingano fino al punto di minacciare il complesso mosaico 'putiniano'. Quasi trent'anni fa, in occasione della prima Guerra del Golfo contro il regime di Saddam, venne coniato il termine quantomeno discutibile di 'bomba intelligente'.

Per quanto ci faccia ribrezzo questo appellativo, dobbiamo concludere che il raid in Siria è stato piuttosto intelligente e mirato: tanto clamore, pochi danni ed un effetto mediatico roboante. Il risultato finale, però, è il nulla: non possiamo affermare con certezza che l'esercito di Assad abbia usato le armi chimiche colpendo la popolazione di Douma; non possiamo escluderlo, ma nonostante questo atroce dubbio le truppe siriane hanno fatto il loro ingresso nella città strappata alle milizie islamiste da liberatori e non da assassini. La riconquista della Ghouta Orientale, dopo quelle di Aleppo, Palmira e Deir el-Zor, è l'ennesima vittoria militare di un governo che tre anni fa sembrava sull'orlo del collasso.

Gli Stati Uniti non si libereranno di Assad, chiuso nel bunker protettivo che Putin gli ha costruito intorno, a meno di attaccare direttamente la Russia. Anche in questo caso, il gioco non vale la candela.

L'attacco è davvero concluso?

Allo stato attuale non siamo in grado di prevedere se e quando l'azione militare contro la Siria avrà un seguito: le risposte in tal senso sono contrastanti. Da parte della Casa Bianca è stato lasciato intendere che potrebbero esserci altre operazioni, il governo britannico si è espresso con un sibillino 'no comment' e l'Eliseo ha dichiarato conclusa l'azione. Se però la scelta è quella di proseguire su questa strada verso il nulla, la precisione chirurgica potrebbe venir meno insieme alla presunta 'intelligenza' delle bombe e l'incidente imprevisto si presenterebbe facimente dietro l'angolo.

Ci appelliamo pertanto alla lungimiranza dei leader politici. Mosca non vuole la guerra così come non la vuole l'Occidente, ma riteniamo difficile che resti a guardare se qualcuno metterà seriamente in pericolo il piano che ha portato la Russia, in questo momento, in posizione egemone nel martoriato Medio Oriente.