E’ il 14 Aprile e sono le 3 di notte in Italia, quando dall’altra parte del mondo, alle 21 locali, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, decide di attaccare direttamente la Siria ed il regime di Assad.

E’ una dichiarazione di guerra a pieno titolo quella lanciata dall’uomo più influente del mondo, che stravolge la stabilità internazionale. L’ordine è ben preciso: eliminare la possibilità che il paese siriano utilizzi le armi chimiche. L’offensiva “occidentale”, infatti, giunge ad una settimana di distanza dall’attacco chimico di Douma, che aveva causato un centinaio di vittime.

Al fianco degli USA, sono intervenuti i due alleati della potenza americana: Francia e Regno Unito. I missili utilizzati sono stati quelli denominati “da crociera”, lanciati da unità navali o dalle portaerei, situate al largo delle coste siriane. Sono stati impiegati anche gli aerei “Rafale”, partiti dal territorio francese e le unità inglesi, decollate dalla base cipriota di Akrotiri.

L’offensiva è stata molto accurata e ben precisa: l’obbligo è stato quello di non colpire assolutamente alcuna base russa e di non avvicinare il raggio dei missili alle loro linee “anti-aeree”. Sembra che l’attacco sia stato utilizzato come avvertimento da parte dei tre paesi alleati poiché i danni, secondo quanto riportato da Damasco, sono stati davvero minimi.

Probabilmente sono stati feriti tre civili ma non è stata causata nessuna vittima.

Le conseguenze sul piano politico internazionale

Gli schieramenti in campo sono ben precisi: da una parte la Russia, schierata a fianco di Assad e dall'altra i tre paesi occidentali, alleati e congiunti. Per non rompere in modo diretto i trattati internazionali, gli attaccanti non hanno colpito le basi russe ma hanno bombardato Homs, un importante presidio siriano.

Dal Cremlino, però, non arrivano dei segnali confortanti: il segretario russo negli USA, Anatoly Antonov, ha dichiarato che l’attacco non rimarrà impunito. Inoltre, Putin ha convocato d’urgenza il consiglio dell’Onu poiché, secondo il suo parere, vi è stata una violazione della Carta delle Nazioni Unite.

In precedenza, si erano espressi sia il presidente americano Trump che la premier inglese Theresa May: se il primo era stato diretto, utilizzando anche il proprio profilo Twitter, confermando la piena riuscita dell’attacco, la seconda si era espressa davanti ai media inglesi annunciando che non vi fossero alternative ad un’offensiva di questo tipo.

La linea comune seguita è stata dunque quella del voler convincere Assad ad abbandonare l’utilizzo degli armamenti chimici, che tanto spaventano l’occidente e che causano ingenti danni, anche nei confronti dei civili.

Infine, l’ulteriore particolare, fondamentale da evidenziare, è quello che riguarda la comunicazione americana nei confronti della Russia. Infatti il ministro della difesa statunitense Mattis, unitamente al generale Dunford, dopo aver dichiarato che la potenza d’assalto, quest’anno, è stata doppia rispetto a quella dello scorso anno, ha anche affermato che, pur non avendo interagito direttamente con il Cremlino, sono state effettuate le comunicazioni necessarie per evitare incidenti fra aerei americani e russi.

Ciò significa che è stata utilizzata la “linea rossa”, il canale diretto sfruttato per i contatti fra le due nazioni.

La stabilità internazionale, già minacciata dagli attacchi estremisti, nelle ultime ore sta vacillando sempre più: tra il Consiglio ONU convocato d’urgenza, le comunicazioni dirette e quelle nascoste, gli attacchi inaspettati e le dichiarazioni di guerra, sembra si stia correndo verso una situazione sempre più instabile e precaria. Gli interessi politici che stanno alla base della scacchiera mondiale sono più importanti di alcune alleanze di facciata che, mai come ora, sembrano essere totalmente in bilico.