L’episodio del malore che ha colto Giorgio Napolitano, e la successiva pioggia di insulti e di auguri di morte caduta sul web, non si è certo chiuso con le buone notizie arrivate dall’ospedale San Camillo di Roma, dove il presidente emerito della Repubblica sta cercando di recuperare dopo il delicato intervento subito alla vena aorta. È stato lo stesso capo della polizia, Franco Gabrielli, ad annunciare il 25 aprile scorso, appena tornato da un viaggio a Bruxelles, l’apertura di una indagine da parte della polizia postale, per stabilire se i cosiddetti haters che operano sul web abbiano commesso qualche reato augurando la dipartita all’ex capo dello Stato.
A quanto pare, però, consultando i precedenti relativi a fatti del genere, la giurisprudenza non sembra lasciare dubbi: augurare la morte non è reato.
La lettera di Anzaldi a Gabrielli e l’apertura dell’indagine
I commenti arrivati a centinaia sui social network, dopo la notizia del malore di Giorgio Napolitano, oltre a lasciare sconcertati moralmente per la loro violenza e inumanità, hanno suscitato la dura reazione di diversi esponenti politici, i quali hanno sollecitato le autorità giudiziaria e di polizia a verificare se esista la possibilità di agire legalmente contro gli haters di Napolitano. Il più risoluto di tutti è stato il parlamentare Pd Michele Anzaldi il quale, oltre alla immediata rimozione dei macabri insulti dal web, ha chiesto a gran voce l’intervento della polizia postale.
Previste anche, in modo abbastanza irrituale, perquisizioni nelle abitazioni dei ‘seminatori di odio’, come accadde esattamente pochi mesi fa contro gli odiatori social di Laura Boldrini. Un appello, quello di Anzaldi, a cui ha risposto quasi immediatamente Gabrielli, annunciando l’attivazione “nei termini di legge” degli uffici della polizia postale.
La sentenza della Cassazione: augurare la morte non è reato
Un atto quasi di cortesia istituzionale, quello di Gabrielli verso Anzaldi, visto che, nel caso degli auguri di morte, la giurisprudenza e le leggi italiane parlano chiaro: non si tratta di un reato punibile dal codice penale. Sul tema si è più volte pronunciata la Corte di Cassazione, come, ad esempio, nella sentenza numero 41190 del 2014, dove è scritto che “augurare la morte a qualcuno è moralmente riprovevole, ma penalmente irrilevante”.
Secondo la Suprema Corte, infatti, il desiderio di morte nei confronti di chicchessia “non integra una fattispecie di ingiuria” che, tra l’altro, è una categoria di reato a sua volta già depenalizzata. Insomma, scrivere “devi morire” non offenderebbe né l’onore, né il decoro della persona oggetto delle contumelie. E non si tratta nemmeno di una minaccia, ma solo di una “manifestazione di astio”, visto che manca la dichiarata volontà di uccidere. Esclusa dalla Cassazione anche la “natura diffamatoria” di questa azione (sentenza 15646/2016). Per concludere, insomma, “il precetto evangelico di amare il prossimo come se stessi non ha sanzione penale, la sua violazione è, appunto, penalmente irrilevante”.