Quarantasei anni dopo un magistrato irlandese ha stabilito che “non ci fu alcuna giustificazione” per l'uccisione, a Belfast, di una ragazza di 17 anni da parte di un soldato britannico durante i cosiddetti “Troubles”. Ne dà notizia l'Independent.

Irlanda del Nord: i "disordini" del 1972

I “Troubles”, o “disordini”, che iniziarono negli anni Settanta e si protrassero fino ai Novanta, videro tensione, scontri, uccisioni e attentati in Irlanda del Nord tra i repubblicani cattolici e gli unionisti protestanti. I soldati mandati da Londra in teoria avrebbero dovuto separare i contendenti, ma in pratica o facevano fatica a distinguere tra militanti dell'Ira e semplici cittadini oppure erano fortemente schierati con gli orangisti.

E in ogni caso i cattolici ben presto cominciarono a considerare le truppe come alleate degli unionisti. La campagna fu chiamata Operation Banner e fu la più lunga mai compiuta dall'esercito britannico: durò infatti 38 anni.

Le cose non migliorarono quando il compito di fare ordine pubblico fu per lo più affidato alla Royal Ulster Constabulary (RUC), cioè la polizia nord-irlandese, che era composta in prevalenza da protestanti. Uno degli episodi più drammatici e più famosi dei troubles fu la Bloody Sunday, il 30 gennaio del 1972, quando nella città di Derry il primo Battaglione paracadutisti aprì il fuoco su una folla inerme di manifestanti per i diritti civili, colpendo 26 persone e uccidendone 14.

Alla strage gli u2 dedicarono una delle loro canzoni più famose.

"Non era una minaccia per nessuno"

La ragazza di Belfast si chiamava Marian Brown e secondo il coroner non fece assolutamente nulla per meritarsi il proiettile fatale sparato da un non identificato soldato britannico. “Non costituì una minaccia per nessuno”, ha stabilito il magistrato.

Quel 10 giugno 1972 anche il suo fidanzato, Thomas Corrigan, rimase gravemente ferito dal fuoco incrociato. Corrigan ha detto di essere compiaciuto che la verità sia finalmente venuta fuori, ma che questo non gli ridarà di certo la sua Marian. E neppure il bambino che lei stava aspettando.

Il giudice David McFarland ha peraltro stabilito che i soldati del Royal Anglian Regiment agirono in autodifesa dopo che qualcuno aveva sparato loro addosso da un'auto in corsa a un posto di blocco a ovest della città.

Però il giudice ha anche stabilito che “né Marian Brown né chiunque altro nelle sue vicinanze agì in un modo che ragionevolmente e onestamente potesse essere percepito come minaccioso” per i civili o per i soldati.

Uso sproporzionato della forza

“La forza impiegata fu superiore a quanto assolutamente necessario, in quanto il soldato non aveva identificato alcun bersaglio che lo minacciasse”, ha precisato il coroner. E dunque, questa la sua conclusione, si trattò di un uso della forza del tutto “ingiustificato”. Due soldati ammisero di aver sparato 27 proiettili in direzione di Marian Brown, senza avvertimento e nella convinzione di aver di fronte uomini armati.

Il magistrato ha pure stabilito, infine, che i soldati britannici non seguirono le regole di ingaggio che erano state loro assegnate e che la successiva indagine sui fatti fu “inadeguata”.