Per quanto ci si sforzi di trovare una logica nelle azioni di autentici 'dilettanti allo sbaraglio della politica', alla fine questa stride con la realtà dei fatti. Siamo stati buoni profeti ad indicare il rischio che Donald Trump finisse nel pantano nordcoreano, agendo di 'stomaco' alla prima difficoltà. Tutto sembrava procedere verso lo storico bilaterale di Singapore con il leader di Pyongyang, Kim Jong-un, anche se le recenti dichiarazioni non propriamente amichevoli da parte dei rappresentanti del regime asiatico sembravano tanto un 'trappolone' pronto a scattare.

A nostro avviso, il presidente americano non ha saputo districarsi ed è caduto nel pieno di un'imboscata. Washington ha annullato il vertice e da parte di Kim, adesso, c'è il diritto di affermare o di confermare ciò che ha sbandierato per mesi: 'Trump non vuole la pace e non ci si può fidare degli Stati Uniti'. Da qui a riprendere la politica di sviluppo nucleare e missilistico il passo è estremamente breve. In fin dei conti la decisione di smantellare il principale sito per i test atomici a Punggye-ri è importante soprattutto a livello propagandistico. Nella realtà dei fatti, il regime può far scavare altri siti sotterranei in gran segreto utilizzandoli per gli stessi scopi, negli ultimi anni avrebbe accumulato almeno una cinquantina di testate nucleari e sono circa 10 mila i tecnici, gli scienziati e gli esperti al servizio di Kim che possono realizzarne altrettante in poco tempo.

Non è con la distruzione di un sito che il piccolo Stato comunista si è denuclearizzato.

La lettera di Trump

Stavolta, il presidente USA non si è affidato ad un tweet, ma ha inviato una lettera al suo omologo nordcoreano. Trump ha scritto che "pur apprezzando il tempo, la pazienza e lo sforzo" che Kim sta impegnando per il summit, questo non si svolgerà.

"Per noi è irrilevante che l'incontro lo abbia richiesto la Corea del Nord - prosegue il principale inquilino della Casa Bianca - ma sulla base dell'ostilità manifestata nelle ultime dichiarazioni, incontrarci in questo momento è inappropriato". I toni non sono aggressivi, ma la missiva contiene una minaccia nemmeno tanto velata.

"Lei parla delle vostre capacità nucleari, ma le nostre sono così imponenti che prego Dio di non doverle mai usare". Trump conclude la lettera ringraziando Kim per il recente rilascio degli ostaggi americani. "Un gesto che abbiamo apprezzato, spero che un giorno ci incontreremo".

La goccia fuori dal vaso, ma il primo ad essere spiazzato è Mike Pompeo

Naturalmente per tutto c'è un pretesto, una riga o una dichiarazione fuori posto. Qualcosa che ha fatto traboccare il vaso, la classica goccia. Nel caso specifico, si tratterebbe di una nota diffusa dall'agenzia di stampa del regime in cui il vice presidente USA, Mike Pence, è stato definito un "fantoccio politico in grado di fare solo commenti stupidi e da ignorante".

Il riferimento è ad una dichiarazione di Pence. "Non tollereremo la presenza di armi nucleari e missili balistici in mano al regime nordcoreano e, senza accordi, la Corea del Nord potrebbe fare la fine della Libia". Qui occorre fare un ulteriore passo indietro, solo di qualche giorno, fino al momento in cui il consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton, aveva per l'appunto citato il defunto rais libico Gheddafi rovesciato ed ucciso dai ribelli sostenuti da Francia, USA ed altri Paesi alleati. "Se Kim non accetta l'accordo, applicheremo il modello Libia". Una frase minacciosa che aveva allarmato non poco il presidente sudcoreano, Moon Jae-in, tra gli attori principali del processo di pace dopo gli accordi intercoreani con Kim Jong-un.

Trump però lo aveva rassicurato pochi giorni dopo, in occasione della visita ufficiale di Moon a Washington. "No problem - ha detto il presidente USA - perché è Pompeo che cura il dossier e noi vogliamo il vertice. Non badate a Bolton". Ora però la mossa della Casa Bianca lascia letteralmente di sasso tanto la Corea del Sud quanto il citato segretario di Stato, Mike Pompeo, che ormai da settimane stava lavorando incessantemente per preparare il vertice di Singapore.

Le condizioni dettate da Kim Jong-un, unico nodo della questione

In realtà le dichiarazioni di Bolton e l'uscita poco diplomatica di Pence mostrano il nervosismo di Washington dinanzi alla recente presa di posizione di Pyongyang che, per prima, aveva minacciato di far saltare il summit.

Era impensabile che a Singapore andasse in scena una sorta di 'resa senza condizioni' da parte di Kim Jong-un, il cui interesse principale è quello di garantire la sicurezza del suo Paese. Facile ipotizzare che, come pegno di buona volontà in cambio del proprio disarmo nucleare, il leader asiatico chiedesse quantomeno alla controparte di allentare la presenza militare nella penisola coreana, cosa che gli Stati Uniti non sembrano intenzionati a fare. E sull'affidabilità nei trattati internazionali che è in grado di offrire la maggiore potenza militare del pianeta, i dubbi sono leciti alla luce di ciò che è accaduto con l'Iran, con Trump che ha distrutto in pochi mesi la più brillante vittoria diplomatica del suo predecessore, Barack Obama.

Dunque in Corea del Nord la tensione è destinata a salire ancora una volta? Se così fosse, sarà facile per Kim attribuire colpe specifiche agli americani. Il dittatore di Pyongyang ha tastato il polso per l'ennesima volta al suo grande rivale internazionale ed ha gettato l'amo, ora ha il pretesto per non interrompere la corsa agli armamenti e, magari, per ordinare nuovi test missilistici.

Da eroe di turno a cattivo guerrafondaio

Storicamente la Casa Bianca ha sempre dettato le sue regole internazionali, bollando come 'Stato canaglia' chi non si adegua. La Corea del Nord è una 'canaglia storica', ma anche uno storico alleato della Cina il cui legame ha sempre dato modo a Pyongyang di resistere alle pressioni statunitensi.

A proposito, qualcuno sostiene che dietro l'irrigidimento improvviso di Kim Jong-un ci possa essere lo zampino di Pechino che sta combattendo un altro tipo di guerra con gli USA, di carattere economico e commerciale. Chiunque sia in cabina di regia in questo momento, la sceneggiatura è abile ed articolata e Trump avrebbe fatto bene a stare al gioco incontrando la controparte a Singapore. Avrebbe almeno avuto un ruolo principale, quello del leader democratico (e dunque il 'buono' della situazione agli occhi dell'opinione pubblica occidentale) che guarda negli occhi un giovane e presuntuoso dittatore: così invece rischia di trasformarsi nel 'cattivo guerrafondaio' di turno.