Donald Trump la spaccia per una grande vittoria della sua amministrazione. In realtà lo credono unicamente i 'trumpiani' da social network e qualche giornalista politicamente schierato. Lasciamo credere loro che sia così, i primi si sentiranno lusingati dall'illusione di aver scritto qualcosa di intelligente, i secondi si saranno guadagnati la pagnotta. Nella trasformazione in atto in questo 2018 che vede Kim Jong-un nei panni del 'bravo ragazzo', dopo essere stato considerato un pericolo mondiale, c'è molto di più delle isteriche minacce che ha scambiato spesso e volentieri con il suo omologo statunitense.

All'indomani del discorso di Capodanno del dittatore nordcoreano c'è stata una delle peggiori gare alla disinformazione messe in atto da una parte della stampa occidentale: testate che hanno puntato l'attenzione sulla provocazione del 'bottone nucleare', quando invece il discorso di Kim conteneva la storica apertura olimpica. L'incontro tra il leader di Pyongyang ed il presidente della corea del sud, Moon Jae-in e le reciproche promesse di giungere infine ad un trattato per la pace nella penisola che non venne firmato nemmeno al termine della Guerra di Corea nel 1953, è figlio di quel discorso e della successiva partecipazione della Corea del Nord ai Giochi invernali di Pyeongchang. E non è un caso che, nell'incontro con il presidente sudcoreano, Kim Jong-un abbia voluto con lui la diplomatica più abile del suo governo, a tutti gli effetti il vero segretario di Stato nordcoreano: la sorella, Kim Yo-jong, che lo scorso febbraio aveva fatto da apripista al summit intercoreano.

Corea del Sud: la vittoria strategica della sinistra progressista

Le minacce di Trump che avrebbero portato Kim a più miti consigli sono quanto di più falso possa essere espresso da un'analista di politica internazionale. La Corea del Nord ha chiuso il 2017 con l'ultimo test missilistico in cui il leader ha affermato con orgoglio di aver sperimentato l'arma in grado di colpire l'America.

A quel punto il giovane dittatore si è auto-elevato a leader di una potenza nucleare, motivo per cui qualunque trattativa che sarà intavolata con, al centro, la possibile denuclearizzazione della penisola coreana, lo vedrà comunque ad armi pari con la controparte. L'obiettivo a cui il regime ha mirato per anni è stato raggiunto e, se consideriamo che nessuno vuole la guerra atomica, nemmeno Kim Jong-un, dobbiamo concludere che questa è stata un grande vittoria.

Ma nella controversa questione coreana c'è un altro vincitore e si chiama Moon Jae-in. Il leader sudcoreano di centrosinistra ha impostato la stessa campagna elettorale con la promessa di un cambio radicale nei rapporti con lo scomodo vicino, rispetto al pugno duro dell'amministrazione Park. Vinte le elezioni, ciò che era stato preventivato è stato messo in atto. Un atteggiamento che lo ha esposto a facili critiche da parte dell'opposizione politica, in un momento in cui le tensioni erano altissime ed i missili di Kim sfrecciavano sopra il mare del Giappone. Ma il leader di Pyongyang si è rivelato molto attento a ciò che gli accadeva intorno, a differenza di come è stato dipinto dall'opinione pubblica occidentale che ha creato un numero inverosimile di fake news sul suo conto.

Ha certamente avvertito la 'nuova aria' che si respirava a Seoul ed ha ammorbidito la sua linea, iniziando la sua trattativa separata con un governo che resta alleato politico e militare degli Stati Uniti. Una mossa abile, la vera chiave di volta di tutta la questione. Kim Jong-un incontrerà Donald Trump e non è il primo ad essere 'costretto' a sedersi al tavolo, bensì il presidente americano alla luce del cambio di registro della Corea del Sud. Se Trump si fosse rifiutato, sarebbe stato un comodo bersaglio della propaganda del regime nordcoreano, passando come colui che non vuole la pace. Il vertice di Panmujon è la grande vittoria di entrambi i leader coreani, ma non della Casa Bianca.

La pressione diplomatica della Cina

Da non trascurare, inoltre, il lavoro diplomatico di Pechino: costante anche se sotto traccia, culminato con l'incontro tra Kim Jong-un e Xi Jinping nella capitale cinese. Le pressioni delle Nazioni Unite avevano indotto la Cina ad allinearsi alle sanzioni economiche imposte alla Corea del Nord per il semplice motivo di dimostrare allo storico alleato militare che il suo supporto non è illimitato. Kim deve aver ponderato bene la questione: Pyongyang ha dimostrato di poter vivere decenni in una sorta di guerra fredda prolungata con Washington, ma non potrebbe farlo senza il sostegno cinese. Il gioco non vale la candela ed alla fine la Cina resta l'alleato più potente in grado di far leva sulla comunità internazionale per alleggerire le pesanti sanzioni.

Fermo restando che, dalla fine della Guerra di Corea in poi, l'economia nordcoreana è sempre stata strettamente dipendente da quella cinese. Questi fattori hanno dunque contribuito alla metamorfosi del dittatore, ex cattivo numero uno se visto in chiave occidentale, e sono le basi su cui poggia lo storico vertice intercoreano di Panmujon. Il prossimo passo porta alla denuclearizzazione dell'arsenale nordcoreano e qui siamo meno ottimisti o, quantomeno, siamo certi che non avverrà dall'oggi al domani. Perché nessuna trattativa va in porto senza la disponibilità della controparte di concedere qualcosa in cambio, altrimenti diventa una resa senza condizioni e quelle esistono solo alla fine di una guerra vera.