Chiacchiere da bar sport”: il Gup di Trieste Giorgio Niccoli non ha usato troppe perifrasi per cancellare la richiesta di oltre 20 anni di carcere avanzata dal pubblico ministero Massimo De Bortoli nel cosiddetto processo sul “caso Alina”, la 32enne ucraina che nell’aprile 2012 si è suicidata in una camera di sicurezza del commissariato di Opicina, sul confine italo-sloveno. Nel corso dell’inchiesta che ne era seguita, il pm aveva ritenuto illegittima la pratica di trattenere cittadini stranieri in attesa di identificazione all’interno del commissariato, come si era verificato con Alina Bonar Daciuk, e aveva identificato almeno 170 casi di presunti sequestri di persona, ottenendo il rinvio a giudizio per sette tra dirigenti e agenti di polizia.

Ma al termine del processo, il giudice per l’udienza preliminare ha respinto le richieste del pm con una motivazione che, nella sua estensione, spesso è uscita dagli schemi tradizionali.

‘Paragonare un trattenimento a un sequestro di persona è peregrino e velleitario’

Il Gup Giorgio Niccoli ha steso le sue motivazioni in 48 pagine: il “succo della vicenda” è la completa assoluzione per i sette imputati, ma ciò che sorprende sono i toni usati dal giudice nella motivazione. Il pm aveva infatti sostenuto che trattenere un immigrato in attesa di espulsione all’interno di un commissariato di polizia e non in un Cie (centro di identificazione ed espulsione) costituirebbe un sequestro di persona, ma il Gup è stato di avviso completamente contrario.

Dopo aver chiarito che l’espulsione di un clandestino deve necessariamente essere eseguita tramite il trattenimento della persona da parte delle forze di polizia, il Gup ha affermato che questa privazione della libertà personale non può essere considerata “illecito penale grave” come il sequestro di persona, altrimenti risulterebbe di fatto impossibile applicare espulsioni, nessun cittadino non comunitario irregolare potrebbe essere accompagnato al confine e rimpatriato.

Detto questo, il Gup ha iniziato a calcare la mano: “Accuse manifestamente infondate, destituite di ogni fondamento, arrivate dopo sei anni” nei quali il pm si sarebbe dedicato a una “frenetica attività di acquisizione di documenti cartacei, video e informatici” che ha impegnato risorse umane, mezzi, logistica e tempo di dimensioni gigantesche, il tutto per arrivare a una accusa che lo stesso Gup ha definito “peregrina e velleitaria, un giudizio che può essere raggiunto senza difficoltà dall’uomo medio”.

‘Una tesi surreale e insostenibile, se venisse mai diffusa via web sarebbe considerata una fake news’

La sentenza prosegue con giudizi ancora più severi: sempre secondo il giudice, se la teoria del pm venisse applicata nella realtà diverrebbe di fatto impossibile trattenere, per qualsiasi motivo, un cittadino straniero che risulti essere presente illegalmente nel nostro Paese. Gli agenti non potrebbero più fermare qualunque persona priva del diritto di permanere in Italia per accompagnarla al confine o disporre il suo rientro coatto nel Paese di provenienza.

Equiparare i trattenimenti al sequestro di persona è “surreale” secondo il giudice che aggiunge: “Se questa teoria fosse diffusa sul web quale contenuto di una nuova norma, gli utenti della rete capirebbero istantaneamente che si tratterebbe di una bufala”.

Ma non basta: “L’esistenza di una norma simile, assunta da un qualsiasi governo di sinistra, di destra o di centro, non solamente in Italia ma in un qualunque Stato del mondo, sarebbe considerata semplicemente una fake news”.

Inevitabile, a questo punto, l’assoluzione di tutti i sette imputati, ma l’indagine del pm ha provocato conseguenze per anni nella Questura di Trieste.

‘L’indagine ha provocato il panico nella Questura di Trieste, gli stranieri da espellere non venivano più trattenuti’

Il Gup non ha mancato di puntare l’indice sugli effetti dell’indagine protratta per sei anni dal pubblico ministero, che si è ‘vantato’ in sede di replica di aver generato il panico e di aver di fatto bloccato l’attività presso la Questura di Trieste e, forse, in altre questure.

In pratica, dopo aver visto i colleghi rinviati a giudizio, gli agenti e i dirigenti triestini non trattenevano più gli stranieri da espellere, si limitavano a consegnare loro un biglietto invitandoli a sottoporsi volontariamente alle procedure necessarie per la loro espulsione.

Infine, il giudice Giorgio Niccoli ha elencato le attività che il pm ha contestato agli agenti perché ritenute illecite: l’aver trasmesso al tribunale tramite fax copia del decreto di espulsione, chiedendo di fissare l’udienza di convalida; l’aver acquistato biglietti aerei per i voli di rimpatrio per i cittadini stranieri; l’aver disposto il loro accompagnamento sotto scorta agli aeroporti di Roma e Milano; l’aver siglato richieste del Questore al Prefetto per l’emissione di decreti di allontanamento o espulsione o intimazioni a lasciare l’Italia.

In conclusione, le tesi del pm sono state definite un postulato privo di fondamento. I sette agenti possono tornare al loro lavoro e la Questura di Trieste può riprendere a trattenere ed espellere gli stranieri non aventi diritto a rimanere in Italia. E i cinque immigrati clandestini che si erano costituiti parte civile sono rimasti a bocca asciutta.