A poca distanza dal dolore dei funerali di Stato per le vittime del crollo del Viadotto Polcevera, si scoprono storie interessanti e commoventi che mettono in luce il tessuto sano di una città difficile e provata, ma sempre in grado di reagire con carattere e determinazione. Non si scava più per trovare nuove vittime, nella speranza che nessuno dei feriti peggiori: il bilancio per il momento resta di 43 vittime. Settembre è un mese drammaticamente noto per gli sfoghi atmosferici e gli allagamenti, quindi in questo momento la priorità è smantellare al più presto tutte le macerie del Viadotto Polcevera per liberare il greto del fiume.
Le carcasse di auto e camion sono state raccolte e posizionate tutte insieme: fanno impressione, accartocciate come se fossero state schiacciate dalla pressa dello sfasciacarrozze. I pompieri che continuano a lavorare nel 'cratere' - così come è stato ribattezzato in modo funesto il punto del crollo ad altezza suolo - sono circa 400, cui si uniscono numerosi volontari dell'Associazione Nazionale Vigili del Fuoco.
L'andirivieni di camion è costante e continuo: quello che resta è stato individuato dalla Magistratura come elemento di interesse per l'indagine e dovrà essere lasciato sul posto per ulteriori rilievi. I magistrati e in particolare il procuratore Francesco Cozzi che ha subito creato un pool di esperti.
Al momento si indaga soprattutto sull'anima d'acciaio all'interno del cemento e sui cavi posizionati a sostegno degli stralli che sembrano essere il nodo cruciale del crollo. I pompieri stanno velocizzando al massimo le operazioni di sgombero ma si tratta di migliaia di tonnellate di macerie da sminuzzare, caricare e spostare.
L'anima scout di Genova: gesti di splendido affetto
Intanto la solidarietà nei confronti di vittime, sfollati e soccorritori continua a essere uno dei motivi di maggiore orgoglio della città. genova alla fine del 1800 ha tenuto a battesimo gli scout: il loro fazzolettone in realtà si chiama ‘promessa’: è il simbolo con il quale ci si impegna a seguire quelle che sono le fondamenta del movimento, ovvero il rispetto della vita, della natura, l’aiuto disinteressato, il senso civico.
Il motto degli scout è in latino: Estote Parati, siate pronti. E gli scout sono pronti, sempre: se serve montano le loro tende, le cucine da campo, dormono per terra e affiancano i soccorritori. Qualsiasi cosa pur di essere utili.
Gli scout accorsi insieme agli Angeli del Fango nei minuti successivi alla tragedia del Viadotto Polcevera da tutta la città sono stati decine: ma era tutto troppo pericoloso perché la protezione civile li coinvolgesse ma ovviamente tutta la popolazione con il fazzolettone al collo era presente. Ai funerali gli scout erano centinaia: Genova è ancora oggi, nonostante i tempi siano radicalmente cambiati, una delle città con la popolazione scout più attiva e fitta. Ognuno con la sua promessa al collo: molti erano alla Fiera per le esequie ufficiali, moltissimi sono rimasti fuori, soprattutto in piazza De Ferrari.
Toccante quello che numerosi scout di vecchia e nuova generazione hanno fatto dopo i funerali: prima sono andati a rendere omaggio alle vittime con una preghiera sotto le campate cadute e poi si sono recati alla vicina caserma dei vigili del fuoco. I ragazzi sono andati al bar e si sono tassati: 10€ a testa, perché pompieri e membri dell’associazione avessero un fondo cassa per il caffè. Un gesto semplice, dolce che non è passato inosservato.
L’origine degli Scout è a Genova per iniziativa di un nobile inglese
Il capoluogo ligure vanta l’orgoglio di avere inventato diverse cose importanti: il primo banco che coniò moneta fu il Banco di San Giorgio che ancora oggi sfoggia il suo palazzo più bello sotto la Sopraelevata, davanti al Porto Antico.
Genova fu anche la città che mise a punto il concetto di assicurazione, molto prima che nascessero i Lloyd c’era la necessità di mettere al sicuro i preziosi carichi di spezie che gli armatori genovesi portavano dal Medio Oriente in Liguria. Tant’è che quando i colossi assicurativi inglesi ebbero bisogno di una città che potesse ospitare i loro interessi, scelsero Genova. È per questo che a Genova sono molte le ville nobili di nome inglese e che uno dei suoi palazzi più belli si chiama McKenzie Castle. Ed è sempre per questo che il Genoa si chiama così: non si sono dimenticati una “V”. Genoa, come la chiamerebbe un abitante del Regno Unito. Genoa Cricket and Football Club: lo chiamò così nel 1893 Lord James Richardson Spensley, medico nato nei sobborghi di Londra che si trasferì sotto la Lanterna alla fine del diciannovesimo secolo.
La divisa Scout si porta spesso per tutta la vita
Lord Spensley di fatto fondò il Genoa per dare agli inglesi che vivevano in città un punto di riferimento. La squadra inizialmente era composta da soli giocatori inglesi: Spensley era portiere e allenatore. Poi diventò anche uno dei primi arbitri ufficiali. Quando il calcio attecchì al tessuto sociale della città arrivarono anche gli italiani e il Lord li preparò al meglio per vincere i nove scudetti vinti dal Vecchio Balordo, come i tifosi rossoblu amano chiamare la loro squadra, la più vecchia d’Italia. Quando il Genoa, nel ventennio, fu costretto a cambiare nome Spensley era già morto e il Genoa Cricket and Football Club diventò Circolo del Calcio Genova.
Il Lord si sarebbe rivoltato nella tomba: tant’è che la prima cosa che fecero i dirigenti nell’immediato dopoguerra fu quella di tornare alla denominazione inglese.
Ma un’altra cosa che Spensley lasciò in eredità ai genovesi fu lo scautismo. Il medico era diventato amico di Robert Baden-Powell, il fondatore del movimento scout e decise di fare proselitismo in Italia: il suo ruolo di filantropo e di educatore fu fondamentale. In poco tempo anche lo scautismo attecchì al tessuto genovese portando al movimento centinaia di iscritti. La divisa scout è un simbolo, un po’ come quella dei pompieri cui i genovesi sono tanto legati: chi la indossa spesso non se ne separa più. Il caratteristico fazzolettone colorato che gli scout portano al collo, ogni gruppo ha il suo colore identificativo, viene indossato anche da chi scout non è più da anni in occasione di raduni, incontri, feste o anche eventi tragici.