Ergastolo per il muratore di Mapello. Unico indiziato per l'omicidio di Yara Gambirasio, ieri, per Massimo Bossetti è stata pronunciata quella che sembra essere la sentenza definitiva che porrebbe la parola fine a un caso che va avanti dal 26 novembre 2010.
Inammissibile il ricorso presentato dalla difesa di Bossetti, questo quanto emerso dalla prima sezione penale della Cassazione presieduta da Adriano Iasillo. La corte condanna dunque Bossetti anche al pagamento delle spese legali e ha dichiarato altresì inammissibile il ricorso presentato dalla procura generale di Brescia contro l'assoluzione per il reato di calunnia per il muratore di Mapello.
Mariella de Masellis, sostituto pg della Cassazione, nel chiudere la requisitoria, ha espresso parole molto dure nel confronti di Bossetti affermando che non esiste nessun ragionevole dubbio per il quale l'uomo possa essere dichiarato innocente e inoltre che questo ha agito senza pietà. Evidenza anche che, sulla prova del dna non sono ammissibili dubbi in quanto, questa è ritenuto valido e utilizzato dal 1985 e che questa è l'impronta maggiormente identificativa della persona.
Le ricerche
26 novembre 2010, Yara, appena 13enne, dopo aver concluso l'allenamento nella palestra del suo quartiere, si accingeva a tornare a casa. La distanza dalla palestra all'abitazione della giovane era di pochi metri, un percorso che la stessa Yara faceva frequentemente e spesso da sola ma che mai avrebbe dato modo di immaginare quanto accadutole quel tardo pomeriggio del 2010.
Yara, in quel percorso, che ricordiamolo, era di pochi metri, è stata più volte colpita con un'arma da taglio e lasciata agonizzante su un campo a Chignolo d’Isola per tutta la notte. Una notte che non ha lasciato scampo alla giovane morta di stenti. Immediata la preoccupazione della famiglia che ha denunciato la scomparsa di Yara e dato così il via alle ricerche.
Queste per tre lunghi mesi non hanno portato a nessun risultato fino a quanto, il caso volle che, l'aereo telecomandato di un aeromodellista, cadde proprio vicino al corpo di Yara. Provvidenziale quindi questo evento causale per il ritrovamento del corpo della 13enne in quanto, nonostante l'impiego massiccio di mezzi e persone, la polizia e i volontari della Protezione Civile, non stavano seguendo la pista corretta.
Il corpo di Yara era lì, nascosto tra la fitta vegetazione a circa 10 chilometri di distanza dalla sua abitazione e a pochi metri dalla stazione della polizia dell'Isola Bergamasca. Per l'attribuzione dell'identità a quel corpo trovato nel campo sono stati fondamentali i vestiti che questo indossava.
Le indagini
Dopo l'autopsia che ha determinato le dinamiche della morte della 13enne, gli inquirenti hanno iniziato con delle indagini a tappeto basate soprattutto su del dna trovato sui leggins e sulle mutandine che indossava. Dopo diversi sospettati tra i quali il più accreditato sembrava essere quello che è diventano noto sotto l'appellativo di Ignoto 1, le indagini hanno portato a Massimo Bossetti.
L'uomo viene arrestato il 16 giugno 2014 e, da quel giorno continua ad urlare a gran voce la sua innocenza supportato anche da moglie e amici. Se la cerchia intorno a lui sembra essere convinta della buona fede dell'uomo, per i 39 magistrati che, in tutti questi 8 anni hanno esaminato, in tempi diversi, il caso di Yara, non ci sono dubbi. Bossetti è colpevole.
Per puntare il dito contro l'operaio di Mapello sono stati sufficienti quei frammenti di dna trovati sugli indumenti della vittima. Ed è lo stesso dna che, analizzato una sola volta, da a Bossetti un appiglio. L'uomo infatti ha chiesto più volte che questo venga riconfrontato e, anche dopo la sentenza di ergastolo, Bossetti e i suoi legali richiedono un'ulteriore analisi.