L'estradizione di Cesare Battisti da parte del governo boliviano e la conseguente incarcerazione in Italia dell'ex militante dei PAC ha fatto tornare d'attualità gli Anni di Piombo. Le ultime notizie danno sul tavolo del Viminale i nominativi di circa 30 ex protagonisti della lotta armata oggi latitanti all'estero. Per alcuni è impossibile procedere: Alessio Casimirri oggi è cittadino del Nicaragua, Alvaro Lojacono ha preso la cittadinanza svizzera. Entrambi facevano parte del commando delle Brigate Rosse che il 16 maggio del 1978 sequestrò l'onorevole Aldo Moro uccidendo cinque componenti della scorta: i carabinieri Oreste Leonardi e Domenico Ricci ed i poliziotti Francesco Zizzi, Giulio Riviera e Raffaele Iozzino.
Proprio Lojacono in questi giorni ha rotto un silenzio che durava ormai da anni, lo spunto è arrivato dopo la notizia dell'arresto di Cesare Battisti. Da sottolineare che, sebbene si tenda a gettare tutto nello stesso calderone, Brigate Rosse e Proletari Armati per il Comunismo erano gruppi diversi con obiettivi totalmente differenti. I brigatisti, infatti, davano uno scopo 'rivoluzionario' alle proprie azioni che i PAC non avevano, motivo per cui ai primi si è sempre dato un carattere più 'politico'. Ad ogni modo si è scoperto in questi giorni che lo stesso Lojacono, nel 2015, aveva inviato una lettera alla Commissione Fioroni, l'ultima delle commissioni parlamentari istituite sul Caso Moro.
La missiva era rimasta riservata.
'Sarei disposto a scontare l'ergastolo in Svizzera'
Lojacono ha trascorso anni di carcere in Svizzera, ma per l'agguato di via Fani non ha mai scontato la pena in Italia. I familiari delle vittime lo hanno sempre accusato di non aver mai avuto segnali di pentimento. In realtà, tutte le volte che l'ex brigatista ha preso la parola, ha sempre accusato la 'logica della vendetta' con cui lo Stato italiano avrebbe combattuto gli esponenti della lotta armata.
Un argomento che torna attuale oggi, dopo l'arresto di Cesare Battisti, alla luce delle dichiarazioni di Alvaro Lojacono a Ticinonline. "La linea della fermezza lanciata dopo il sequestro Moro è proseguita con leggi d'emergenza e con la Politica della vendetta. In questi giorni ha raggiunto livelli impensabili con l'esibizione del detenuto-trofeo.
In tutto ciò la verità resta nella palude del sospetto". Lojacono ha spiegato ai cronisti che accetterebbe senza opporsi una richiesta di delibazione presentata dal governo italiano. Per delibazione o exequatur si intende la procedura giudiziaria che serve a far riconoscere, in un determinato Paese, un provvedimento emesso dall'autorità giudiziaria di un altro Paese. "Non farei obiezioni, tanto per mettere la parola fine a questa vicenda" e sottolinea che accetterebbe anche il carcere a vita, qualora dovesse essergli inflitto da un giudice svizzero.
Per la Svizzera ha già scontato la pena
Difficile però che Lojacono possa tornare in carcere in Svizzera dove è stato già condannato all'ergastolo con pena poi ridotta a 17 anni.
Dal 7 giugno del 2005, Alvaro Lojacono è un uomo libero, oggi si chiama Alvaro Baragiola (il cognome della madre) ed ha la cittadinanza elvetica. All'epoca l'Italia presentò una richiesta di delibazione, secondo quanto afferma il diretto interessato, che nel dettaglio riguardava la sentenza del processo Moro 4. In realtà Lojacono è stato condannato anche per il delitto di Mikis Mantakas, attivista di destra che venne ucciso nel febbraio del 1975.
'La mia estradizione non è mai stata chiesta'
L'ex brigatista ha anche sottolineato che il governo italiano non ha mai chiesto la sua estradizione (così come non è mai stata chiesta l'estradizione di Casimirri) ed è accertato da una sentenza del Tribunale Federale che risale al 1991.
"Consegnarmi all'Italia oggi equivarebbe ad una deportazione alla boliviana, cosa che la legge qui non prevede", dice Lojacono e sulla mancata richiesta di estradizione le congetture fatte in questi anni sono molteplici e si intrecciano inevitabilmente con tanti punti ancora oscuri del caso Moro. Le vicende giudiziarie vissute, ad ogni modo, l'ex componente del commando di via Fani le ha ricostruite nella lettera che abbiamo già citato, inviata oltre tre anni fa. Nella missiva parla del suo arresto in Svizzera nel 1988, dopo che il memoriale Morucci aveva parlato del suo ruolo nell'ambito del sequestro Moro. Resta in carcere per 11 anni, poi esce in libertà condizionata e viene arrestato nuovamente nel 2000 in Corsica, dunque territorio francese, sulla base delle sentenze definitive in Italia.
Finirà di scontare la sua pena in base al diritto elvetico nel 2005. "Ho scontato la mia pena - sottolinea Lojacono - e non ho usufruito di alcun privilegio".
La rabbia di Sandro Leonardi
Le parole di Alvaro Lojacono sono state commentate con rabbia da Sandro Leonardi, figlio di Oreste che fu il caposcorta di Aldo Moro e venne ucciso dai brigatisti in via Fani. "Se vuole scontare la sua pena venga in Italia, altrimenti resti in Svizzera e ci lasci in pace. Con che diritto mi è stato tolto un padre quando avevo soltanto 20 anni?". Leonardi continua dicendo che "il recente arresto di Cesare Battisti dimostra che per catturare gli ex terroristi basta la volontà e sono 40 anni che non c'è alcuna volontà da parte dello Stato. Nessuno di questi oggi sta in galera nonostante le condanne a svariati ergastoli. Forse è vero che questa gente conosce verità indicibili, ma non vedo cosa ci sia da aver paura dopo 40 anni".