Il 12 gennaio si è conclusa l'operazione condotta da una squadra speciale dell'Interpol e composta anche da investigatori italiani che ha condotto alla cattura del latitante Cesare Battisti.
Battisti, dichiarato colpevole con sentenza definitiva per quattro diversi omicidi, era riuscito ad evadere dal carcere di Frosinone nel 1981. Cominciò così una latitanza durata 37 anni, costellata da colpi di scena e scontri tra giustizia e politica.
Ora, grazie al cambiamento politico voluto dal neo eletto presidente Bolsonaro, Battisti è stato estradato in territorio italiano, dove sarà chiamato a scontare la pena per i crimini commessi in Italia alla fine degli anni '70.
L'attività eversiva ed i PAC
Anni di piombo prima, anni di fango poi, così li battezzò Indro Montanelli nei suoi volumi della Storia d’Italia. Ed è in questi anni che si svolge la vicenda, tristemente nota, di Cesare Battisti.
Battisti, classe 1954, nasce nel piccolo paese di Cisterna di Latina, da una famiglia di umili origini. Sin da subito dimostra una indole irrequieta e vive una adolescenza abbastanza turbolenta, segnata dal compimento una serie di piccoli reati contro il patrimonio.
Furti, rapine e sequestri di persona sono le sue attività. Ma è nel 1977 che avviene l’incontro che segnerà la sua esistenza. Durante un periodo di detenzione presso il carcere di Udine inflittogli a seguito di una rapina, viene in contatto con Arrigo Cavallina, personaggio di spicco dei Proletari Armati per il comunismo, meglio noti come PAC.
Nati in Lombardia sul finire degli anni 70, i PAC sono stati una delle formazioni terroristiche più sanguinarie degli anni di piombo italiani.
In realtà, a ben vedere, sono rimasti in attività per un periodo di tempo relativamente limitato, ma il loro particolare modus operandi è stato comunque in grado di destabilizzare in maniera abbastanza violenta il già disastrato quadro politico italiano.
I PAC orientavano le loro rivendicazioni non solo verso simboli istituzionali - uomini politici, agenti di polizia e magistrati- come avveniva nel caso di altri gruppi terroristici, ma anche nei confronti di soggetti apparentemente estranei alla scena politica.
I PAC, infatti, si distinsero tristemente dagli altri gruppi terroristici proprio perché colpivano anche tutti i comuni cittadini che, sulla base del loro insindacabile giudizio, rappresentavano simboli del potere.
Un triste esempio in questo senso si può rinvenire nell’omicidio di Pierluigi Torregiani, gioielliere milanese che aveva come unica colpa, quella di aver tentato di sventare una rapina.
Altra caratteristica dei PAC è data dal fatto che essi reclutavano i propri proseliti tra i delinquenti comuni.
Ed è qui che il destino di Cesare Battisti si unisce indissolubilmente al terrorismo rosso. Battisti, come anticipato in precedenza, viene a contatto con l’ideologia del gruppo armato durante il periodo di detenzione scontato al carcere di Udine per una rapina.
Nel 1976, uscito dal penitenziario, si dirige a Milano, dove comincia a partecipare attivamente alle azioni dei Proletari armati per il comunismo.
Egli, come aveva già fatto in gioventù, si occupa principalmente di compiere rapine, in modo da finanziare le azioni del gruppo, definendole, con una espressione molto in voga in quegli anni “Espropri proletari".
Con tale termine venivano generalmente indicate le sottrazioni compiute dai gruppi eversivi in danno dei commercianti e asseritamente sorrette da motivazioni di natura politica. Anche le Brigate Rosse si servirono degli espropri proletari, tuttavia, a differenza di altri gruppi politici, le BR ammisero che lo scopo principale delle sottrazioni era il finanziamento della rivoluzione e della lotta armata.
Dopo alcuni anni, Battisti decide di lasciare definitivamente i PAC. Affermerà in una intervista successiva che il motivo che lo spinse all’abbandono del gruppo terroristico fu il disprezzo generato dalle azioni compiute in quegli stessi anni dalle Brigate Rosse e culminate nell’uccisione di Aldo Moro.
La vicenda giudiziaria e la latitanza
A partire da questo momento prende avvio la travagliata vicenda giudiziaria che lo vede protagonista.
Nel 1979 egli viene infatti nuovamente arrestato e condotto al carcere di Frosinone.
Viene processato per l’omicidio del gioielliere Torregiani e viene condannato a 12 anni di carcere per possesso illegale di armi da fuoco e banda armata con aggravante di associazione sovversiva.
Nel 1981, grazie all’aiuto di Pietro Mutti, riesce a fuggire dal carcere di Frosinone ed arriva a Parigi, dove trascorre un anno in latitanza. Conosce la moglie e decide di trasferirsi in Messico con lei.
Nel frattempo, in Italia, il processo nei suoi confronti continua in contumacia: viene condannato in via definitiva per 4 omicidi compiuti tra il 1978 e il 1979, di cui due come esecutore materiale.
Le vittime sono la guardia carceraria Andrea Santoro, il poliziotto Andrea Campagna, il gioielliere Pierluigi Torregiani ed il macellaio Lino Sabbadin. Battisti si è sempre dichiarato innocente.
Nel 1990 ritorna in Francia con la moglie e la figlia al seguito. Lavora come portiere di uno stabile e conduce una vita relativamente tranquilla grazie all’immunità garantitagli dalla c.d. dottrina Mitterrand.
Con il termine dottrina Mitterrand viene indicata la linea di pensiero adottata dal presidente francese Francois Mitterrand tra gli anni ’80 e 90, in base alla quale "La Francia valuterà la possibilità di non estradare cittadini di un Paese democratico autori di crimini inaccettabili", nel caso di richieste avanzate da Paesi "Il cui sistema giudiziario non corrisponda all'idea che Parigi ha delle libertà”.
Tale linea di pensiero nasce in seguito ad alcuni dissidi tra Italia e Francia in ordine alla legislazione antiterrorismo promulgata nel nostro paese durante gli anni di piombo.
La disciplina, volta a contenere l’ormai dilagante fenomeno terroristico, prestava, infatti, il fianco ad innumerevoli obiezioni.
Nel caso di Battisti i magistrati francesi dichiararono che, le prove a suo carico erano "contraddittorie" e "degne di una giustizia militare".
Grazie a questa linea di pensiero, nel 1991, Cesare Battisti viene dichiarato non estradabile e può condurre una vita relativamente normale. Si cimenta nella scrittura, traducendo alcuni libri noir francesi in lingua italiana (tra i quali Didier Daeninckx e Jean-Patrick Manchette) e scrivendone alcuni di proprio pugno.
Solo nel 2002 -e dunque quasi 11 anni dopo- l’Italia inoltra una nuova richiesta di estradizione, richiesta che però verrà accolta solo nel 2004. Dopo una breve incarcerazione in territorio francese, Battisti riesce nuovamente a fuggire e torna alla vita di latitante.
Verrà arrestato in Brasile nel 2007 ma, anche in questo caso, chiederà lo status di rifugiato politico al governo brasiliano. La richiesta verrà respinta in prima istanza e poi accolta definitivamente dalla presidentessa Rousseff nel 2011.
Infine, nel 2017, a seguito della caduta del presidente Lula, la richiesta di estradizione formulata dallo stato italiano viene finalmente accolta. Dopo che il neo presidente brasiliano Bolsonaro ribadisce la sua volontà di estradarlo, Battisti fugge dalla propria abitazione a Cananéia e si rende irreperibile.
Viene arrestato in Bolivia il 12 gennaio. Anche in questo caso prova a giocare la carta della richiesta di asilo politico, richiesta che però viene immediatamente rifiutata dal governo boliviano.
E’ attualmente detenuto presso il carcere di Oristano.
I costi della latitanza di Battisti
Le operazioni di cattura di Battisti, durate 37 anni, hanno coinvolto diversi organi della polizia italiana nel corso del tempo.
Oltre che Polizia di stato ed Arma dei carabinieri, sono stati coinvolti nelle operazioni anche l'ufficio centrale per le investigazioni generali e per le operazioni speciali ( Ex UCIGOS, diventato ora direzione centrale Polizia di prevenzione), lo Scip, (Servizio per la cooperazione internazionale di polizia che fa capo alla Criminalpol) e il Sisde.
Si calcola che le operazioni di cattura del latitante siano costate allo stato italiano una cifra che si aggira intorno ai 50 milioni di euro, milione più, milione meno.