"Si è svolta una partita a carte truccate sulle spalle della famiglia Cucchi e a questo punto - incalza il pm Musarò - è in gioco la credibilità di un intero sistema". Parole come pietre quelle pronunciate ieri dal pm Giovanni Musarò nel corso dell'udienza del processo bis per la morte di Stefano Cucchi che vede imputati cinque carabinieri, tre per omicidio preterintenzionale, avrebbero pestato il 32enne provocandone la morte, e due per falso e calunnia. Il geometra romano morì il 22 ottobre 2009 mentre si trovava in custodia cautelare in un letto del reparto penitenziario dell'ospedale Pertini.

Una settimana prima, era stato fermato per possesso e spaccio di droga.

La Procura ha presentato nuovi documenti a dimostrazione di una catena di depistaggi, coperture, relazioni false messe in atto dalle alte gerarchie dell'Arma che ingannarono l'allora ministro della Giustizia, Angelino Alfano. Ieri è stato sentito come teste il generale Vittorio Tomasone, all'epoca dei fatti comandante provinciale dei carabinieri di Roma: dipendevano da lui tutti i militari che ebbero a che fare con il caso. Per primo svolse le indagini all'interno dell'Arma, per accertare cosa fosse effettivamente accaduto durante l'arresto di Stefano Cucchi.

Procura, depistaggi dell'Arma iniziati quattro giorni dopo la morte di Stefano Cucchi

La testimonianza di Tomasone, voluta dalle parti civili, si è integrata con le nuove carte e acquisizioni documentali "di straordinaria importanza" secondo Musarò, appena depositate dalla Procura.

Atti quali una nota redatta dai carabinieri della stazione Appia di Roma, non destinate al pm, ma all'allora ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che avrebbe dovuto rispondere al question time alla Camera. Alfano, non indagato, inconsapevolmente, secondo il pm, riferì al Parlamento, la falsa storia messa in piedi dall'Arma: che Cucchi al momento dell'arresto era stato collaborativo, che il fermo e le successive operazioni si erano svolti senza concitazione né particolari contatti fisici, che il 32enne appariva già debilitato fisicamente, ma al momento dell'arresto stava bene e non presentava i segni sul volto, visti dal padre il giorno dopo nel processo per direttissima.

Secondo l'accusa, il depistaggio sul caso di Cucchi iniziò quattro giorni dopo la sua morte, avvenuta il 22 ottobre 2009. L'Arma avviò, a detta del pm, iniziative per alterare la verità il 26 ottobre dopo che un'agenzia Ansa scatenò un putiferio: riportava le dichiarazioni di Patrizio Gonnella di Antigone e del senatore Luigi Mancone che denunciavano i carabinieri evidenziando come Cucchi il giorno dell'arresto stava bene, l'indomani aveva il volto tumefatto.

Un insabbiamento, secondo il pm, cessato solo nel 2018, quando per la prima volta i vertici dell'Arma hanno "lealmente" messo a disposizione carte rimaste negli archivi.

Testimonianza chiave del generale Tomasone: 'Fu un arresto normale'

Ma la testimonianza di Tomasone ieri in corte d'Assise, non ha chiarito aspetti cruciali: incalzato dalle domande del pm, ha risposto con molti 'non ricordo'. L'alto ufficiale, oggi comandante interregionale della Campania, ha riferito che per lui quello di Cucchi fu un arresto 'normale', come molti altri.

Dopo aver appreso dalla stampa le prime notizie, chiese una relazione e convocò una riunione a seguito della quale dedusse che non potevano esservi responsabilità.

Ma l'accusa gli ha contestato un fax del 1 novembre 2009, nel quale i vertici dell'Arma, anticipando l'esito dell'autopsia, negano le percosse e ogni nesso tra l'arresto e la morte di Cucchi. La nota fu firmata da Tomasone che però ha detto di non ricordare la circostanza, e ha escluso d'essersi interessato alle questioni medico-legali sulla morte di Cucchi.

"I depistaggi continuano ancora oggi", ha commentato Ilaria, sorella di Stefano, definendo "imbarazzante" la deposizione di Tomasone. Secondo l'accusa, in alcuni atti ufficiali interni all'Arma erano già contenute le conclusioni cui sarebbero pervenuti i medici legali nominati dalla procura di Roma sei mesi dopo, e cioè che non c'era rapporto di causalità tra le botte e la morte del geometra, e che responsabili del decesso sarebbero stati solo i medici dell'ospedale Pertini.

Una circostanza definita "inquietante" dal pm Giovanni Musarò che ha contestato a Tomasone di non aver chiesto ai suoi sottoposti di verificare la foto segnalatica scattata dopo l'arresto di Cucchi, che avrebbe dimostrato che nessuno lo aveva percosso.