Un freddo venerdì di gennaio del 1969, Ermanno Lavorini (allora quasi tredicenne) veniva rapito a Viareggio. Cinquant'anni dopo si torna a parlare di quel ragazzino trepidante per il famoso carnevale viareggino, un carnevale che non vedrà mai più. Ermanno oggi avrebbe 63 anni, ma mezzo secolo fa fu sequestrato sequestrato ed ucciso.

Quello stesso pomeriggio dell'ultimo giorno del mese di gennaio arrivò una telefonata a casa di Armando Lavorini, padre del piccolo; a rispondere fu Marinella, la figlia più grande che, in seguito alla richiesta di riscatto di ben 15 milioni di vecchie lire rabbrividì e lanciò un urlo agghiacciante.

Ermanno, però, tre ore dopo il rapimento era già morto, probabilmente dopo un'atroce sofferenza. La stessa sofferenza l'hanno vissuta i suoi familiari nei 39 giorni successivi in cui, tra depistaggi, polemiche e scandali, non si trovava traccia del bambino. La salma fu poi ritrovata il 9 marzo dello stesso anno, nella sabbia della pineta di Marina di Vecchiano, un paese dell'hinterland pisano.

Un mistero che distrusse anche altre vite

Il caso Lavorini generò una concatenazione di tragedie legate sempre a quella di Ermanno, per il quale la pista seguita fu quella del delitto a sfondo sessuale. Un agghiacciante caso di pedofilia, pertanto, in un'epoca in cui il tema era ancora un tabù. Adolfo Meciani, ad esempio, si impiccò in carcere.

Si trattava di un quarantenne noto per frequentare i ragazzi della pineta, luogo conosciuto per gli incontri omosessuali. Meciani fu accusato di avere un coinvolgimento nel rapimento e nell'uccisione del ragazzino e, dopo aver rischiato per due volte il linciaggio pubblico, si tolse la vita in carcere a causa della vergogna per le ingiuste accuse che gli furono attribuite.

Tali accuse coinvolsero anche Giuseppe Zacconi, un nome celebre all'epoca nel mondo della cinematografia italiana, figlio dell'attore Ermete Zacconi. Anche lui sarà vittima di un violento linciaggio mediatico: morirà a causa di un infarto nel 1970.

Alla fine nella rete della giustizia rimasero tre giovani: Marco Baldisseri, all'epoca sedicenne, ed i due ventenni Pietro Vangioni e Rodolfo Della Latta.

Il loro coinvolgimento fu dovuto alla loro assidua frequentazione della pineta pisana. La vicenda portò a Viareggio i più grandi investigatori nazionali a studiare il caso, si passò prima a cercare un eventuale 'mostro' per poi puntare il dito su quelli che erano definiti "pederasti", ovvero uomini adulti che innescavano relazioni con adolescenti.

Le condanne che fecero tanto discutere l'Italia

Tra colpi di scena, depistaggi, false testimonianze, i tre indagati diedero vita ad un reciproco scarico di colpe che, unito ai numerosi cambi di versione, fece letteralmente impazzire la giustizia italiana. A causa di questo caos, il procedimento iniziò solo nel 1975, inizialmente il primo grado stabilì la condanna di Baldisseri a 19 anni di carcere, 15 per Della Latta, mentre Vangioni fu assolto per mancanza di prove.

Successivamente la sentenza fu modificata in appello ed i tre furono condannati per rapimento ai fini di estorsione ed omicidio preterintenzionale, era il 1977: Baldisseri fu condannato ad 8 anni e 6 mesi, a Della Latta ad 11 anni, Vangioni a 9 anni.

Il movente 'politico'

A distanza di cinquant'anni, però, ci sono tanti interrogativi che non hanno risposta, a partire da un movente che sarebbe stato modificato nel corso dei gradi di giudizio. La sentenza, infatti, venne confermata dalla Cassazione che legò però il rapimento ed il delitto a movimenti eversivi di estrema destra: il rapimento sarebbe stato finalizzato a chiedere un riscatto per finanziare le attività politche estremiste. Del resto il caso Lavorini può essere inserito in un contesto storico in cui la strategia della tensione è agli albori.

Il 12 dicembre del 1969, meno di un anno dopo, esplose la bomba che provocò la strage di Piazza Fontana e, probabilmente, il rapimento di Ermanno fu solo una 'falsa partenza' di quello che sarebbe stato un periodo triste e sanguinario. Eppure, prima di arrivare a questa tesi processuale, si preferì dare in pasto i presunti 'mostri' all'inferocita opinione pubblica.