Il destino di Pietro Genovese è nelle mani dei periti che dovranno accertare le dinamiche dell’incidente di sabato 21 dicembre, quando – poco dopo la mezzanotte – il Suv del giovane ha travolto e ucciso Gaia e Camilla, due ragazze sedicenni, in corso Francia a Roma. Infatti l’accusa vuole provare che il ventenne, figlio del regista Paolo Genovese, stesse percorrendo la strada ad una velocità proibita, superando abbondantemente i limiti previsti in città. Il giovane, che adesso è agli arresti domiciliari, rischia fino a 18 anni per omicidio stradale: è già stato dimostrato come il suo tasso alcolemico quella sera fosse quasi tre volte più alto del consentito.
Quindi la polizia locale ha effettuato i rilievi sull’asfalto e analizzato le ammaccature sulla Renault Koleos per cercare di stabilire con la massima precisione a quanto stesse andando la vettura. Altre perizie serviranno a verificare se l’investitore si sia fermato subito oppure abbia tentato una fuga. Inoltre, anche i legali di Pietro nomineranno consulenti di parte – prima dell’interrogatorio di garanzia davanti al Gip Bernadette Nicotra, previsto per il 2 gennaio – e la stessa cosa faranno gli avvocati che rappresentano le famiglie di Gaia e Camilla. Tutti puntano a ricostruire esattamente gli attimi concitati dell’investimento, visto che le varie testimonianze raccolte spesso sono discordanti tra loro.
Le dichiarazioni di Tommaso, il terzo passeggero del Suv
Il Corriere della Sera riporta le dichiarazioni di Tommaso, lo studente universitario ventenne, che era con Pietro ed un altro ragazzo, Davide, nel Suv. Il giovane era seduto sul sedile posteriore: al momento dell’impatto era impegnato a chattare con il telefonino e, quindi, non ha visto molto.
Tuttavia sarebbe stato lui ad urlare agli amici di fermarsi, non appena ha sentito un forte botto. A quanto pare la Renault Koleus, anche se gravemente danneggiata, avrebbe comunque proseguito per circa 250 metri prima di arrestarsi, forse per un guasto tecnico e non per mano del guidatore. Tommaso racconta anche che inizialmente l’unico a scendere dall’auto è stato Davide, che a sua volta ha spiegato di essersi subito accorto che per Gaia e Camilla non c’era più nulla da fare.
La testimonianza del giovane alla fermata dell’autobus
Un altro testimone importante, le cui dichiarazioni sono riferite dal Corriere della Sera, è un ragazzo che aspettava l’autobus alla fermata nei pressi del luogo dell’incidente: sarebbe stato lui il primo a chiamare i soccorsi. Pochi attimi prima dell’impatto avrebbe sentito una delle due sedicenni dire all’altra di continuare a correre, perché tanto le automobili si sarebbero fermate: in effetti una Smart è riuscita a frenare, a differenza del Suv di Genovese che sopraggiungeva ad una certa velocità sull’altra corsia.
Sembra esclusa l’ipotesi, circolata in questi giorni, di un “gioco del semaforo rosso” tra ragazzi, che consisterebbe nello sfidarsi attraversando la via a scorrimento veloce, quando i pedoni non potrebbero: Gaia e Camilla stavano tornando da una serata con gli amici a Ponte Milvio ed erano in ritardo rispetto all’orario previsto per il rientro a casa.
Potrebbero aver deciso di passare subito per fare prima, anche se il semaforo pedonale era diventato rosso, forse tagliando la strada, senza nemmeno andare sulle strisce pedonali, anche se su quest’ultimo punto le testimonianze sono discordanti.