La bacchetta magica non esiste: per tornare alla normalità, ci vorrà tempo. Non si possono dare alla popolazione italiana false speranze, e questo non è il momento di parlare di riapertura perché la guerra contro il Coronavirus non è ancora vinta. Alla politica risponde la scienza. O meglio, un esperto, Giovanni Rezza, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell'Istituto Superiore di Sanità, confuta, sia pure senza mai nominarlo, un politico, Matteo Renzi.

Ieri, l'ex presidente del Consiglio, in un'intervista all'Avvenire, aveva agitato lo slogan 'ripariamo tutto', scatenando il dissenso della comunità scientifica.

Renzi aveva proposto anche date precise: il ritorno al lavoro nelle fabbriche prima di Pasqua, quindi a brevissimo. Poi, la riaperture delle scuole, almeno medie e superiori coinvolgendo due milioni di studenti, a inizio maggio. Interpellato dal Corriere della Sera, Rezza ha spiegato perché tutto ciò è irrealistico.

Rezza, restrizioni per almeno un altro mese

L'Italia, primo Paese d'Occidente colpito dal Covid-19, la malattia causata dal coronavirus Sars-Cov-2, è in cura. Il tributo finora pagato è alto: oltre 10 mila morti. L'unica terapia, soprattutto preventiva, in assenza di vaccino, è il distanziamento sociale e l'isolamento. Ogni cittadino, restando a casa, contribuisce ad evitare che la curva dei contagi possa espandersi e ad accelerare il tempo di guarigione, che comunque non può essere breve.

Giovanni Rezza, nell'intervista pubblicata oggi sul Corriere della Sera, pondera le parole per non creare false aspettative, perché non è il momento di allentare la guardia. Gli italiani, dice, devono togliersi dalla testa la parola riapertura ancora per un lungo periodo. Il virus è infido e non scompare per incanto. E' presto voler pensare al ritorno alla vita normale quando gli effetti delle misure restrittive decretate dal governo non sono visibili, se non in maniera ancora timida.

Inoltre, c'è da considerare che quando noi potremmo cominciare ad uscire, altrove potrebbero vivere la fase espansiva del contagio. Bisogna fare i conti, dice Rezza, con il resto dell'Europa, specie con i Paesi che non hanno adottato provvedimenti forti come ha fatto la città di Wuhan, dove l’epidemia, tramutata in pandemia, è cominciata.

E sigillare le frontiere per difenderci, non è realistico.

Rezza: 'Logico prevedere il blocco per altre due settimane'

Proprio il Corriere, ha rivelato due giorni fa l'intenzione del governo di prorogare il 'lockdown', la chiusura totale del Paese, tutti in casa e divieti di spostamento salvo eccezioni, per altre due settimane. Un nuovo decreto dovrebbe essere firmato il prossimo 3 aprile, giorno in cui è prevista la scadenza di quello in vigore dal 19 marzo. Il nuovo provvedimento, prevederebbe deroghe minime per le aziende e scadrebbe il 18 aprile. Per Rezza, si tratterebbe di un giusto prolungamento dei termini della cura del sistema Paese perché occorre più tempo. Nelle ex zone rosse, quali Codogno, dove le chiusure sono scattate prima, ora è ben visibile la decrescita della trasmissione del virus.

Non stupisce l'esperto il fatto che in altre aree del Paese, l'epidemia non stia ancora decrescendo, malgrado i provvedimenti restrittivi imposti dal governo: sono stati presi da due settimane e mezzo, ed è ancora presto per vedere effetti rilevanti. Probabilmente ci saranno riscontri significativi nei prossimi giorni.

Rezza, niente 'tana libera tutti' con i casi di contagio diminuiti

Secondo l'esperto, la ripresa andrà programmata con estrema cautela, seguendo l'esempio di Wuhan. Nella città cinese, dal 19 marzo scorso i casi si sono azzerati, ma si sta procedendo con gradualità e prudenza a riavviare la vita professionale e sociale. Quando in Italia ci saranno chiari segni di un'analoga diminuzione, non si potrà certo fare 'tana libera tutti' dall'oggi al domani, come se non fosse accaduto nulla.

E' presto per dire se l'emergenza potrà ritenersi conclusa a maggio. Il virus è un nemico insidioso: quando pare scomparso, riappare altrove, come insegnano i focolai di Fondi e Nerola, nel Lazio. Bisognerà aspettare che l'indice di contagio sia inferiore a uno, e cioè che un individuo non contagi neanche una seconda persona. Al momento, questo indice in Italia è al di sopra di uno, con diversità da regione a regione. Se non fossero state poste misure restrittive, l'indice nel nostro Paese sarebbe schizzato al 2 o al 3. Nel giro di sei mesi, ci sarebbero stati milioni di malati. Per quel che riguarda il raggiungimento del 'picco' dell'epidemia, ovvero quando la curva dei contagi raggiunge il punto massimo per poi iniziare a scendere, forse potrebbe esserci entro la fine della prossima settimana.

In Italia ci sono state diverse chiusure progressive, per cui, chiarisce Rezza, è probabile che ci saranno diversi picchi. La corsa del virus ha iniziato a rallentare: ci si può aprire a un cauto ottimismo, non rilassarsi.