La Fase 2 della battaglia contro l'epidemia di Coronavirus non è ancora, ufficialmente, iniziata. Anche se dallo scorso 14 aprile è stato concesso ad alcune attività economiche di poter ricominciare a lavorare. D'altra parte, anche se tutti gli esperti sono concordi nell'affermare che le riaperture dovranno essere estremamente graduali e tenendo costantemente sotto controllo l'evolversi della curva dei contagi, le date proposte fino ad oggi potrebbero slittare ulteriormente. A cominciare da quella più vicina di lunedì 20 aprile. Ci sarebbero, infatti, diverse opinioni tra la task force diretta da Vittorio Colao, propensa ad una riapertura graduale ma immediata e il Comitato Tecnico Scientifico più favorevole ad un ulteriore slittamento.
Anche perché, ogni decisione circa quali settori produttivi riaprire e quando, deve essere presa dalla Politica nazionale e regionale tenendo conto dei principi costituzionali dettati dall'articolo 117 della Costituzione italiana, primo fra tutti quello di leale collaborazione tra istituzioni dello Stato.
Fase 2 perché è possibile uno slittamento
Come sappiamo tutti, oramai, per poter calibrare il meglio possibile il timing delle varie aperture, il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, ha autorizzato la formazione di una task force multidisciplinare, guidata dall'ex manager della Vodafone Vittorio Colao. Ma le decisioni di carattere politico - economico di questo nuovo organismo devono tenere conto anche del parere del Comitato Tecnico Scientifico creato, sempre su iniziativa del Presidente del Consiglio, per combattere più efficacemente il diffondersi dell'epidemia di Covid-19.
Tra i due organismi, in questo momento, ci sarebbe una certa divergenza di vedute proprio sulla tempistica delle riaperture. Infatti, mentre la task force guidata da Colao spingerebbe per una partenza ufficiale della Fase 2, almeno per le imprese, già da lunedì prossimo 20 aprile 2020, il Comitato Tecnico Scientifico vorrebbe aspettare ancora.
Per gli esperti sanitari, infatti, sarebbe necessario prolungare ancora un po' il lockdown allo scopo di effettuare uno screening approfondito dei fattori di rischio caratterizzanti le diverse catene di produzione italiane. Il modello a cui si sarebbero ispirati i componenti del Comitato Tecnico Scientifico sarebbe quello del Tesoro americano.
Negli Stati Uniti, che secondo il Presidente Donald Trump avrebbero raggiunto il picco di contagi e sarebbero pronti all'avvio della loro Fase 2, si sarebbe infatti istituita una graduatoria delle imprese, divise per settore produttivo e grado di rischio correlato.
In maniera simile, nel nostro Paese si starebbero incrociando i dati messi a disposizione dall'Inail relativi alla diversa efficacia dei dispositivi di protezione messi a disposizione dei lavoratori dalle singole aziende già prima dello scoppiare dell'epidemia. Inoltre ,il valore di rischio attribuito alle diverse imprese sarebbe calcolato sulla minore o maggiore probabilità di contagio data dallo svolgimento di quell'attività. Oltre che dalla possibilità, offerta dalle aziende ai loro dipendenti, di fare ricorso allo smart working.
Sarebbe stata bocciata, invece, l'idea proposta proprio da Vittorio Colao di rendere disponibile una app in modo tale da tracciare i movimenti dei cittadini italiani in ogni momento. Oltre al parere contrario di diversi ministri, vi sarebbero delle titubanze dovute al fatto che lo stesso Garante della Privacy avrebbe già evidenziato e che andrebbero a ledere fortemente il diritto alla riservatezza di tutti gli italiani. Di conseguenza, il varo di un nuovo Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri sembrerebbe slittare a dopo il 20 aprile. E stessa sorte dovrebbero seguire le riaperture delle attività commerciali.
Fase 2: cosa dicono i dati disponibili oggi
Come accennato, la task force e il Comitato Tecnico Scientifico starebbero lavorando a stretto contatto per creare una sorta di "tavola sinottica" del sistema produttivo italiano per calibrare alla perfezione ogni possibile riapertura.
E, anche se il lavoro non è completato, dai dati disponibili sembrerebbe che le attività con un fattore di rischio di contagio più basso sarebbero state individuate. Tra questi ci sarebbero il settore manifatturiero, quello delle costruzioni, quello delle infrastrutture e quello delle grandi opere. Mentre, per settori più a contatto con il pubblico, come bar, banche, uffici postali e comunali, ristoranti, studi medici, estetisti, studi fisioterapici, la Fase 2 partirà necessariamente più tardi. Questi, infatti, presenterebbero un fattore di rischio di contagio più elevato.
Senza considerare che, prima che parta ufficialmente la Fase 2 sarà necessario ripensare, in un'ottica di protezione dal contagio, anche il sistema di trasporto pubblico.
infatti, almeno per tutta la durata della Fase 2 se non anche oltre, tram, bus e metropolitane non potranno evidentemente circolare a piena capienza, proprio per rispettare la regola del distanziamento sociale. Anche perché, prima o poi, dovrà riaprire anche la Scuola richiedendo un necessario potenziamento del trasporto pubblico.
Coronavirus, Fase 2: la decisione della ripartenza deve essere condivisa
Nello stesso tempo, si è aperto un dibattito nel dibattito. Più precisamente, molti si chiedono a chi spetti l'ultima parola, se allo Stato o alle Regioni, sulla partenza ufficiale della Fase 2. Senza entrare nella controversia politica si può affermare, come suggerito dagli esperti di diritto, che la norma di riferimento è l'articolo 117 della nostra Costituzione.
Tale norma, specifica quali sono i settori in cui lo Stato ha legislazione esclusiva e quali sono i settori nei quali vi è la possibilità di una legislazione concorrente tra Stato e Regioni. Di conseguenza, in queste materie di legislazione concorrente sarebbe possibile una sovrapposizione di norme di carattere regionale e statale.
Per ovviare a questo possibile contrasto, come fa notare anche il quotidiano Il Sole24ore, anche lo Stato italiano si è adeguato ad una prassi introdotta a livello europeo. In pratica, lo Stato adotta delle misure legislative di carattere orizzontale. Questo vuol dire che, invece di legiferare su specifici settori produttivi in legislazione concorrente con le Regioni, lo Stato si limita a dettare norme o provvedimenti volti al miglioramento del contesto amministrativo e normativo in cui operano le diverse imprese. In questa maniera si evitano la maggior parte dei contrasti tra Stato e Regioni, giungendo a decisioni largamente condivise.