Un'interrogazione Parlamentare per chiedere risposte sulla questione residenza fiscale in relazione ai cittadini residenti all'estero nei casi in cui una persona sia stata bloccata in Italia dalle restrizioni derivate dal Coronavirus. Questo è quanto richiesto dai deputati Massimo Ungaro e Cosimo Ferri di Italia Viva, che sperano si possa rimandare "al 2021 l’applicazione della regola secondo la quale risulta acquisita la residenza fiscale in Italia una volta trascorsi 183 giorni nel paese".

Il concetto di residenza fiscale è diverso da quello di domicilio.

Non per forza coincide con l'iscrizione all'Aire (Anagrafe Italiana Residenti all' Estero) o avere il domicilio o porre il centro di interessi in certo luogo. Ci sono metriche usate per determinare la residenza fiscale in un Paese.

Ad esempio in Italia si acquisisce, per quell'anno, con il passare 183 notti nel territorio della Repubblica. "Con la quarantena obbligatoria, il lockdown e l'isolamento fiduciario obbligatorio, molte persone non si sono potute spostare secondo la loro volontà e quindi sono rimaste bloccate in diversi Paesi, luoghi in cui non si sarebbero dovute trovare e magari in posti diversi dai loro centri di interesse", dice a telefono Massimo Ungaro, deputato di Italia Viva eletto nella circoscrizione estera e membro della Commissione finanze.

La paura principale è la possibilità, per quei cittadini che avrebbero - in una situazione non compromessa dal Coronavirus - scelto di mantenere la residenza fiscale all'estero se avessero potuto. Ungaro spiega così i dubbi sulla questione: "Possibile ci siano alterazioni che andranno a determinare la residenza fiscale per persone che in realtà l'avrebbero altrove se avessero potuto scegliere liberamente.

Alcuni Paesi si stanno muovendo su questo fronte. Ad esempio Il Regno Unito ha annunciato che se si riesce a dimostrare la permanenza sul territorio per quei 183 per motivi di forza maggiore, quel tempo maggiore - 10 giorni, 1 settimana - non verranno conteggiati ai fini della determinazione della residenza fiscale".

Lei auspica una decisione simile?

L'ipotesi più giusta mi sembra quella del Regno Unito, ovvero togliere dal computo quei giorni di trattenimento in Italia dovute al Covid, alle quarantene, ai divieti sui viaggi.

Come si pone la questione residenza fiscale per i cittadini italiani?

I cittadini italiani, se residenti in Italia, devono presentare una dichiarazione dei redditi in cui devono pagare le tasse sui redditi prodotti in Italia. Sui redditi prodotti in altri paesi, qualora esista un trattato sulle doppie imposizioni e pagano le tasse nei paesi dove producono i redditi, non devono pagare anche in Italia ma devono dichiarare il fatto che hanno prodotto redditi anche all'estero e dichiarare quali tasse hanno pagato all'estero.

Ci sono cittadini italiani iscritti all'Aire, quindi abitano all'estero dove hanno la residenza fiscale, che non devono pagare le tasse sui redditi in Italia se non per quei redditi prodotti in Italia, se li producono nel nostro Paese.

Il Covid ha in un certo senso compromesso la situazione?

Se invece per motivi legati al Covid un cittadino per il 2020 si è trovato in Italia per più di 183 notti quel cittadino, casomai residente a Londra e iscritto all'Aire, risulterà residente fiscalmente in Italia e quindi dovrà pagare le tasse sui suoi redditi prodotti in Inghilterra all'Italia.

Qual è il rischio maggiore?

C'è anche il problema che magari potrebbe esserci una differenza di modi nel calcolare i giorni.

Una possibilità remota, ma vista la grande confusione che stiamo attraversando, immagino una situazione in cui le due giurisdizioni pensano entrambe di poter tassare il cittadino. Quella è un'ipotesi molto remota perché c'è un accordo contro le doppie imposizioni con la maggior parte dei paesi avanzati. Non c'è con tutti i paesi quindi non è nemmeno impossibile quest'ipotesi. Ecco questo andrebbe assolutamente evitato.