Un nome risultante dai verbali di collaborazione di un pentito del clan Loreto-Ridosso di Scafati, in provincia di Salerno. La svolta nell'indagine ormai decennale sull'omicidio del sindaco pescatore di Pollica Angelo Vassallo sembrerebbe segnata dalla pista che porta a tale Giuseppe Cipriano, gestore di un cinema nella località Acciaroli, frazione portuale di Pollica, non lontano dal ristorante "Il rosso e il mare" della famiglia Vassallo. A darne notizia è Il fatto quotidiano, nella newsletter 'Giustizia di Fatto' del 24 settembre.

Cipriano e Cioffi: due indagati senza sufficienti elementi di prova

L'iscrizione di Cipriano nel registro degli indagati risale in realtà al giugno 2018. Ma gli inquirenti hanno impedito che la notizia trapelasse. Fino ad oggi. Dall'inchiesta di cui è titolare la Procura di Salerno era emerso (ultimo di una lunga serie) un solo nome: quello di Lazzaro Cioffi, ex sottufficiale dei carabinieri in servizio a Castello di Cisterna, arrestato nell'aprile 2018 per le gravi collusioni con il clan Fucito di Caivano. L'accusa, quella di aver favorito i traffici di droga nel Parco Verde in cambio di denaro e altri regali. I reati che vengono contestati nei rispettivi avvisi di garanzia con invito a comparire sia a Cipriano che a Cioffi - scrive Vincenzo Iurillo del Fatto - sono esattamente gli stessi: concorso in omicidio con l'aggravante camorristica e reati di armi.

Entrambi vengono interrogati dai pm di Salerno il 2 luglio. Mentre Cioffi si avvale della facoltà di non rispondere, Cipriano replica a qualche domanda dei magistrati, ma nega ogni coinvolgimento nell'omicidio di Angelo Vassallo.

Un'ipotesi di collegamento tra i due indagati potrebbe ricondursi in primis alla loro stessa città d'origine: Scafati, appunto.

Che fossero così contigui dall'aver progettato di eliminare il sindaco divenuto scomodo - secondo l'ipotesi accusatoria preferibile - per un politica di tutela ambientale e del territorio decisamente contraria agli interessi criminali dei clan camorristici? Non è da escludere. Ma - afferma la stessa fonte del Fatto - non è possibile ancora stabilire se si tratti di due filoni paralleli o della stessa inchiesta.

Mancano ancora degli elementi di prova che consentano di fondare la richiesta di rinvio a giudizio nei loro confronti. Ormai siamo abituati ai vicoli ciechi, soprattutto quando si tratta di "delitti eccellenti". E tra questi l'omicidio Vassallo si annovera a pieno titolo.

Un'inchiesta segnata da tante apparenti 'svolte'

Un conto, infatti, è l'incertezza processuale. Altro conto sono quei fatti che, per quanto difficilmente dimostrabili all'interno di un processo, altrettanto difficilmente la realtà può consentire di smentire ipotizzando "altre vie". O provando che le cose siano "andate diversamente". E in genere, quando è così, le indagini condotte col cosiddetto metodo "a 360 gradi" non portano ad altro che a una serie di esclusioni.

Il caso Vassallo ne è un esempio lampante. Archiviata per due volte l'incriminazione di Bruno Humberto Damiani, italobrasiliano vicino agli ambienti del traffico di droga nel Cilento, i sospetti sono caduti sul colonnello dei carabinieri Fabio Cagnazzo e, in seconda battuta, sul suo attendente Luigi Molaro. Indagato il primo per la decisione di rimuovere i dispositivi di videosorveglianza di un negozio sul porto di Acciaroli, verrà poi archiviato insieme al secondo per insufficienza di prove. Quindi è stata la volta della vigilessa Ausonia Pisani, figlia dell'ex generale dei carabinieri Domenico Pisani. La donna era rimasta coinvolta nel maggio 2011 in un duplice omicidio consumato a Cecchina, vicino a Roma, per mano dell'ex compagno Sante Fragalà (ora in carcere per scontare una pena di 26 anni).

Ma anche la pista Pisani è stata scartata, principalmente per l'incompatibilità dell'arma di ordinanza con quella usata dall'assassino di Vassallo.

Tutto ciò perché ci si ostina (chi in buona chi in mala fede) a non guardare in faccia la realtà. A trucidare con nove colpi esplosi a bruciapelo il sindaco di Pollica nella sua Audi A4 potrà anche essere stato chiunque. Ma finché non si sarà fatta chiarezza sul mandante dell'omicidio (oltre che sul suo esecutore materiale), non si potrà dire di aver soddisfatto il bisogno di verità e giustizia per le vittime di criminalità organizzata e i loro familiari. Ora, in compenso, l'indicazione del nome di Giuseppe Cipriano apre nuovi scenari in un'inchiesta che più volte ha rischiato di arenarsi.

Due linee di convergenza su Cipriano danno qualche conferma, ma molti restano ancora i buchi

Tra gli elementi indiziari che hanno portato a iscrivere Cipriano nel registro degli indagati figura anche - apprendiamo sempre dal Fatto - il verbale di una dichiarazione del presidente di un'associazione antimafia di Pomigliano d'Arco. A segnalarlo sono stati i pm di Napoli, ma l'accertamento della presenza di Cioffi ad Acciaroli il giorno dell'uccisione di Vassallo - secondo quanto dichiarato dallo stesso presidente dell'associazione ai magistrati antimafia di Salerno - non ha avuto riscontro in sede di interrogatorio. I due carabinieri di Castello di Cisterna hanno infatti smentito questa versione.

Sul nome di Cipriano c'è poi un altro potenziale fattore di convergenza. Alcuni verbali, tra cui uno del giugno 2018 (non molto tempo prima dell'invito a comparire per Cioffi e Cipriano), riguardante le dichiarazioni di un'avvocatessa ex compagna di Romolo Ridossi, divenuta testimone di giustizia per aver consentito la condanna dell'ex camorrista. La donna avrebbe fatto menzione anche dell'omicidio Vassallo, raccontando quella che è la sua versione dei fatti. Da una prospettiva privilegiata, peraltro, data la sua relazione (travagliata) con l'allora boss del clan Loreto-Ridosso.

Questi gli ultimi profili che vanno ad arricchire un quadro quanto mai frastagliato e incerto. Di più, l'arma del delitto non è mai stata ritrovata, nessuno nel vicinato ha sentito gli spari.

Niente testimoni oculari. Le omissioni e le lacune nell'inchiesta, come ha avuto modo di accorgersi il nuovo procuratore di Salerno Giuseppe Borrelli, forniscono un'immagine disperante di un caso dopo dieci anni ancora in attesa di processo e, quindi, di giustizia. Ma, quel che è peggio, sono i fardelli che pesano sulle coscienze.