La famiglia Ciontoli si comportò in modo crudele con Marco Vannini e mise in atto dei veri e propri "depistamenti". Nelle scorse ore, come ha annunciato su Facebook dall'avvocato Celestino Gnazi legale della famiglia Vannini, sono state rese note motivazioni che hanno portato alla condanna, nel processo d'appello-bis, di Antonio Ciontoli e dei suoi familiari. La notizia è stata ripresa anche dalla redazione di Chi l'ha visto? che ha sempre seguito con attenzione l'evolversi del caso di Cronaca Nera.

Rese pubbliche le motivazioni che hanno portato alla condanna dei Ciontoli

Lo scorso 30 settembre, nell'ambito del processo di appello-bis per la morte di Marco Vannini, la Corte d'Assise d'Appello di Roma ha condannato per omicidio volontario con dolo eventuale a 14 anni di reclusione Antonio Ciontoli, il capofamiglia, e a 9 anni - per concorso anomalo in omicidio - la moglie Maria Pezzillo e i figli Federico e Martina (quest'ultima era la fidanzata di Marco).

Nelle scorse ore, sono state rese pubbliche le motivazioni che hanno portato i giudici a emettere la condanna. L'avvocato Gnazi le ha sintetizzate sulla sua pagina Facebook precisando che la Corte di Assise di Appello, ricostruendo quanto accaduto la notte tra il 17 e il 18 maggio 2015 in maniera analitica e con perfetta padronanza degli atti, ha evidenziato una serie di “menzogne” aventi lo scopo, secondo i giudici, di “adeguarsi il più possibile alle dichiarazioni rilasciate da Antonio Ciontoli”.

"Tutte cose - ha dichiarato - che abbiamo sempre pensato e detto e che adesso emergono con chiarezza in una sentenza".

Marco sgridato perché gridava dal dolore

L'avvocato Gnazi, in attesa con la famiglia Vannini del verdetto definitivo della Cassazione, ha evidenziato che la Corte, in relazione all’atteggiamento degli imputati, ha parlato di “crudeltà” e di “depistamenti”.

Nelle motivazioni della sentenza, come precisato dal Messaggero e da altri quotidiani, si evince che i componenti della famiglia Ciontoli fornirono spiegazioni inverosimili relativi ad atteggiamenti da loro assunti la sera della tragedia. Atteggiamenti che, in taluni momenti "hanno rasentato una vera e propria crudeltà nei confronti di un ragazzo ferito che urlava dal dolore e che, per questo motivo, è stato rimproverato".

"Un ragazzo - è stato sottolineato dai giudici - che è stato ed è il fidanzato di Martina e che Antonio Ciontoli diceva di tenere in considerazione come un figlio".

Gli imputati, dopo lo sparo che ha ferito mortalmente il 21enne di Cerveteri, sempre secondo la Corte d'Assise d'Appello, hanno anche cercato di depistare le indagini pulendo le superfici delle pistole e del bossolo, eliminando tracce di sangue, mentendo ai soccorritori prima, durante e dopo l'intervento e concordando una versione da fornire, in maniera corale, agli investigatori. Si ipotizza che questa linea di comportamento fu decisa dal capofamiglia, ma come evidenziato nelle motivazioni "tutti vi aderirono in maniera consapevole pur non potendosi non rendere conto delle conseguenze che avrebbe avuto".