Dopo un'avanzata durata circa un mese e culminata negli ultimi dieci giorni con la presa delle più importanti città, i talebani hanno completato la conquista dell'Afghanistan. Dal Palazzo presidenziale di Kabul, dove ora sventola la bandiera dei miliziani islamisti, i nuovi capi afghani hanno annunciato la volontà di rinascita dell'Emirato Islamico. Le forze di sicurezza del Paese non hanno opposto alcuna resistenza e il presidente Ashraf Ghani è fuggito dalla capitale, consegnando di fatto il potere agli insorti.

L'avanzata fulminea dei talebani

La riconquista del territorio afghano da parte delle milizie talebane coincide con il progressivo ritiro delle truppe statunitensi dal Paese. L'operazione militare, capeggiata dagli USA e partecipata da diversi Stati occidentali, era stata intrapresa in seguito agli attentati terroristici dell'11 settembre 2001.

Dopo gli iniziali successi della coalizione internazionale, la missione assunse sempre più i connotati di una guerra di logoramento. Ciò spinse la Casa Bianca a pianificare il ritiro delle proprie forze militari. Iniziò già Barack Obama nel 2011, prevedendo un ritiro completo entro il 2014, data posticipata più volte. Nel marzo 2020 fu Donald Trump ad annunciare il ritiro di parte delle truppe statunitensi dall'Afghanistan, in seguito a un accordo raggiunto con i talebani.

Ad aprile 2021, l'attuale presidente Joe Biden aveva dichiarato che nel mese successivo sarebbe incominciato il ritiro dei soldati e che si sarebbe concluso entro la data simbolica dell'11 settembre 2021, ventesimo anniversario degli attacchi terroristici a New York e Washington.

Poco dopo l'inizio del ritiro delle truppe statunitensi, però, i talebani hanno aumentato sempre più la loro offensiva contro le forze governative, riuscendo ad espandersi non solo verso il sud dell'Afghanistan (sede delle loro roccaforti storiche) ma anche in direzione nord.

Dopo l'annuncio del ritiro completo delle truppe americane, all'inizio di luglio, l'offensiva degli studenti coranici è cresciuta sempre di più e con essa il numero di distretti da loro conquistati. A fine mese, già metà del territorio afghano è controllata dagli insorti.

La caduta di Kabul

Ad agosto, l'offensiva delle milizie talebane ha avuto un'escalation.

In appena dieci giorni, cadono uno dopo l'altro tutti i distretti rimasti ancora sotto il controllo governativo. Tutte le principali città del nord si arrendono e la capitale si ritrova praticamente accerchiata. Il 15 agosto, i talebani entrano a Kabul e prendono possesso del palazzo presidenziale, dal quale annunciano la futura proclamazione dell'Emirato Islamico promettendo "serenità" per l'Afghanistan.

L'entrata dei talebani nella capitale sarebbe stata tutto sommato ordinata. Tuttavia, nelle scorse ore, non sono mancate scene di panico e l'aeroporto di Kabul è stato preso d'assalto da cittadini in fuga dal Paese.

Prima dell'ingresso in città, i talebani avevano espresso l'intenzione di lasciare il tempo al presidente Ghani di arrendersi e negoziare la transizione.

Ma, a quanto emerso, Ghani è fuggito dall'Afghanistan motivando la sua scelta come un modo per evitare un inutile "bagno di sangue". L'ex presidente ha poi riconosciuto la vittoria dei talebani e li ha indicati quali nuovi responsabili "dell'onore, della proprietà e della tutela" degli afghani, rendendo di fatto superflua qualsiasi fase di negoziato o transizione.

Le reazioni della politica internazionale

Le diplomazie occidentali osservano con preoccupazione il repentino evolversi della situazione in Afghanistan. Da più parti piovono critiche sulla gestione della lunga missione Nato nel Paese.

A finire nel mirino, in particolare, sono proprio gli Stati Uniti. Il segretario di Stato Usa Anthony Blinken continua a difendere la decisione del ritiro progressivo delle truppe e ad evitare qualsiasi paragone con Saigon.

Ma è la stessa stampa Usa ad apostrofare la decisione del presidente Biden come "vergognosa ritirata" rievocando l'immagine del Vietnam.

Le prese di posizione della politica italiana

La crisi afghana preoccupa anche la Politica italiana. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio è in contatto con l'Unità di crisi della Farnesina e con l'ambasciata italiana a Kabul per il rimpatrio dei connazionali, mentre il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha assicurato protezione a tutti gli afghani che in questi anni hanno collaborato alla missione italiana.

Tutti i principali partiti sono sostanzialmente concordi nel criticare il ritiro delle truppe dall'Afghanistan, seppur con accenti differenti. Per il segretario del Pd Enrico Letta, l'Occidente "esce a pezzi" da questa situazione determinata da venti anni di "scelte sbagliate".

Il leader di Italia Viva Matteo Renzi parla di "errore storico" e critica la decisione di Biden di voler stringere accordi con i talebani, in linea (secondo lui) con quella del predecessore Trump. Secondo il segretario della Lega Matteo Salvini, dopo venti anni è disumano lasciare di nuovo donne e bambini nelle mani dei "taglia gole islamici". La presidente di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni, infine, accusa l'amministrazione Biden di aver gestito in maniera "disastrosa" la vicenda Afghanistan.