Aperta da dieci giorni presso il Serrone della Villa Reale di Monza, la retrospettiva "Caravaggio e Francesco", con un'unica opera, il "San Francesco in Meditazione" di Michelangelo Merisi, conduce il visitatore nel mondo di fughe e duelli di uno dei più noti artisti di tutti i tempi e in quello di grazia e generosità del Santo Patrono d'Italia. Due biografie apparentemente agli antipodi quella del Merisi e di Francesco d'Assisi, accomunate da certi particolari che val la pena scoprire, per apprezzare da un nuovo punto di vista entrambi i personaggi.
Caravaggio è noto per la sua maestria nel realizzare straordinari giochi di luce, per il suo caratteraccio, che lo ha più volte messo nei guai e costretto a lasciare la città di Roma, dove stava raggiungendo un certo successo e una invidiabile stima da parte di ricchi e potenti committenti, per trovare riparo, dopo l'assassinio di Ranuccio Tomassoni da Terni, a Napoli, a Malta e in Sicilia. Le sue opere - realizzate a cavallo tra Cinque e Seicento - ci dicono tanto della sua personalità e delle sue tendenze: il movimento, l'assenza di sfondi o elementi scenografici, ci fanno capire che dietro a quel pennello sanguinario c'era un uomo che dava un'importanza fondamentale al genere umano. I suoi modelli, infatti, erano persone vere, persone di strada, con i loro difetti e i loro peccati.
Così come vere e pulsanti di vita sono le sue tele.
Più di tre secoli prima aveva destato scalpore la figura di Francesco. Scelta la povertà anche il Santo del "Cantico delle Creature" sfida in un duello morale la ricca famiglia di provenienza, per cambiare radicalmente la sua vita e donarla agli altri, agli umili, ai poveri, ai bisognosi.
Il suo esempio è stato apprezzato e seguito da uomini di tutte le fedi e di tutte le età.
E proprio nella tela del F.E.C. (il Fondo Edifici di Culto del Ministero dell'Interno) visibile a Monza fino al 19 aprile 2015, si sancisce una unione spirituale tra il Santo e il peccatore che lo ritrae. Francesco, illuminato dalla solita forte luce caravaggesca, intercede per l'artista che, pentito per la sua condotta, lo ritrae con le labbra schiuse in preghiera e le mani che stringono il teschio. Ognuno con in mano il proprio destino, i due protagonisti non sono altro che le due facce di una stessa medaglia, metafora di una umanità che vive tra luce e ombre.