Roberto Sannino, in arte Iago, racconta di aver incontrato la poesia in una strana notte, si era licenziato per l’ennesima volta, non avrebbe più accettato di lavorare per altri. Sconforto, angoscia, disperazione, da questo trittico è scaturito il suo primo scritto. Ricorda nitidamente: prese un quaderno, lo fissò e si perse in quel chiaro cartaceo, come se avesse trovato un’apertura o un canale. Quella notte accadde qualcosa di inspiegabile, prima di allora non aveva mai scritto versi né altro, era una carcassa alla deriva incapace di ascoltarsi, fino a quella notte.

Ospite al prossimo Festival di poesia Terre di Virgilio, con suo libro, dal 23 al 25 settembre per la seconda edizione del Sirmio International Poetry Festival si svolgerà a Sirmione, lo scrittore si racconta in questa intensa intervista.

Qual è il legame che unisce i suoi versi alla musica? Cosa intende per scrittura “intemporanea”?

Se sapessi cosa unisce le mie parole alla musica non sarei più in grado di scrivere nulla, versi e musica nascono insieme, sono un solo elemento: grafico-notale. Ho dovuto coniare la terminologia “intemporanea” perché dopo le mie scritture in pubblico, qualcuno scrisse di me “poeta estemporaneo”. Niente di più falso. Ogni verso è frutto di un lavoro enorme che ho effettuato su me, fatto di approfondimenti, studi e confronti, ma la parte dura rimane la percezione del quotidiano.

Osservare, interagire anche con l’oggetto inutile, con il gesto scontato, esaminare gli scarti del prossimo. La scrittura sul foglio è per me l’epilogo di un’incessante attenzione verso quel che mi circonda, se sono stato bravo, le immagini pioveranno senza sosta e io deciderò quali far cantare. È così che scrivo in intemporanea, nel tempo e non fuori dal suo disturbo.

Viviamo in un mondo dove “ritmi”, perlomeno quelli occidentali, sono legati inscindibilmente al potere, agli equilibri oscuri e spietati, di sistemi economici e politici che mutano e si irrobustiscono, in netto contrasto con raffronti, eventi e fenomeni che potrebbero pregiudicare il loro predominio sulle nostre società. Chi è il protagonista in “Anche le scimmie odiano Tarzan”?

Goethe stabiliva una sorta di piramide sociale, i pratici alla base, poi quelli che sanno, di seguito quelli che vedono poi quelli che abbracciano; ecco il protagonista è plurale sono quelli che abbracciano che “comprendono” e che pagano un caro prezzo, l’incomprensione per aver compreso.

I versi segnano attimi precisi nella vita di chi scrive e rileggendoli, anche a distanza di anni, è possibile rivivere limpidamente le stesse emozioni: cosa l’ha portata a non datare le sue poesie? E a dividere la sua raccolta in Massimo Comune Diviso e Minimo Comune Multiplo?

Le date sono importanti per i poeti che producono meno versi, così è possibile verificare la crescita o l’involuzione, le persone non sono come il Barolo, per molti il trascorrere degli eventi porta all’imborghesimento.

Considero l’insieme e non mi vivo il peso della cronologia, quel che vedo non ha tempo appartiene ad un unico grande respiro e non va datato, esiste solo un tempo quello della poesia. La raccolta si articola in due sezioni per via di un neo che ancora ho nel cervello: considerare il vero in modo diverso rispetto alla verità. In M.C.D evidenzio il rapporto tra i valori universali e il genere umano che vede le più alte espressioni dell’anima (la verità) divorate dal consumo di massa; in M.C.M risalto le pretese del singolo (Il vero) spesso lasciate al palo per paura di fallire.

Lei viene definito “uno dei più convinti resistenti che vivono, amano, lottano e scrivono” da Antonino Caponnetto, è una “Condanna”, una “Scelta” o semplicemente “Pazzia”?

Per gli addetti ai lavori sono un pazzo, per gli amici sono condannato, io ho scelto perché scelta non avevo, la scrittura poetica mi ha svegliato, mi ha preso a calci e rimesso in piedi. Ora non riesco a far altro che scrivere, non conosco altro modo per dirle grazie.