Metti una sera al centro di un'onda di persone che, a quanto dicono e scrivono ovunque, hanno contribuito a creare un evento musicale della portata storica e impattante di un asteroide che si siede sulla pianura della provincia più godereccia e proficua del cantautorato italiano a vedere un po' lo strano effetto che fa. Metti che l'hai aspettato e immaginato tanto quell'evento che, quando sulla scia calante del tramonto partono le note di Also Sprach Zarathustra, colonna sonora di "2001 Odissea nello spazio", col sole rosso e gigantesco che sale verso il cielo dall'imponente schermo dietro il palco, quasi ti senti male dall'emozione, non potendo evitare di collegare la cosa all'omaggio cinematografico e musicale che Bruce Springsteen il 16 luglio dell'anno scorso fece al pubblico del Circo Massimo con le note di Ennio Morricone di "C'era una volta l'America".

Metti che nell'istante in cui Vasco parte con "Ho perso un'altra occasione buona stasera, è andata a casa con il negro la troia!" e l'intero modena Park diventa un coro all'unisono, realizzi che è tutto vero e che stai per partecipare al rito catartico collettivo che solo il concerto dal vivo di pochissimi artisti al mondo può mettere in moto. Metti questo e metti quello, finisce che non trovi le parole per descrivere quello che è successo dentro e fuori di te nella notte lunghissima del 1 luglio e che per fissare le emozioni che a distanza di tre giorni ancora fanno la ola nella pancia e ti avviluppano i muscoli, devi sederti, resettare pensieri e rumori fuori scena e ripercorrere i tuoi passi nella giornata rock più lunga e speciale della tua vita.

L'arrivo

Da Bologna, dove c'eravamo date appuntamento a metà mattina per fare il check in nel b&b (a Modena i posti per dormire risultavano precauzionalmente esauriti da mesi prima della vendita dei biglietti), io e due delle mie compagne di avventura arriviamo verso le tre del pomeriggio e veniamo raggiunte poco dopo dalle altre due in arrivo da Milano.

Incontriamo immediatamente una città in festa, accogliente e bellissima, con punti di ristoro ovunque lungo le strade libere dalle auto e animate dal brusio indistinto degli zainetti decathlon da 10 litri in ogni salsa e colore e dalla musica di Vasco sparata in loop dalle casse. Ci inoltriamo verso le vie del centro per raggiungere davanti al Duomo, patrimonio Unescu dal 1997, un gruppo nutrito di amici di amici e, tanto per non farci mancare brividi, lungo il tragitto chiamiamo il 112 per sedare una brutta lite domestica intuibile dalle urla disumane di lui contro il pianto disperato di lei e dal clangore dei cocci al contatto col suolo.

Arrivate troviamo, manco a dirlo, persone di tutte le età che ridono, giocano, ballano, bevono birra e soprattutto cantano. E i modenesi felici, di averci lì, di unirsi a noi, di dare dritte e consigli e di fare video ricordo mentre ululiamo tutti in attesa della sera.

Verso il Modena Park

Intorno alle 17 ci avviamo verso il Parco Ferrari seguendo il flusso di persone più simpatiche e aggreganti che si possano trovare a un concerto e tra selfie improvvisati con chiunque e solide amicizie di infanzia nate nello spazio tra un ciao e una pacca sulla spalla, arriviamo in una mezz'oretta all'ingresso A del pit 3. Ci mettiamo ordinatamente in fila e ci prepariamo ai controlli severissimi previsti e annunciati che, rullo di tamburi, non sono severissimi e non sono nemmeno controlli!

"Hai qualcosa di pericoloso nello zaino?" "No." "Passa". E lungo i sentieri transennati che confinano col parco iniziamo ad ammirare le fantastiche zone d'ombra annunciate e quindi attese sotto le quali potremo comodamente accamparci intanto che arrivano le nove: un gruppo in fila di arbusti della mia non onorevole altezza che quel poco di scudo al sole che riescono a fare lo fanno a 150 mila persone arrivate prima di noi. Poco male, ci adattiamo e troviamo un fazzoletto a metà fra il tunnel e la luce fuori in cui stendere i teli, aggrovigliare anime e ginocchia e fare nuove amicizie.

L'attesa

Le ore che mancano all'inizio del concerto trascorrono in un lampo tra risate, chiacchiere, ipotesi di scaletta, già ampiamente online a seguito del soundcheck, e tutto il bello che una festa collettiva di diversi ma simili può regalare.

Ogni tanto un'ambulanza, qualcuno con la vietatissima e pericolosa arma del selfie stick, qualcun altro con le lattine altrettanto vietate e via andare. D'altronde davvero a un concerto di Vasco vi aspettate gente che entra per rompere le palle al popolo che si fa i "fatti" suoi per eccellenza?

Poco prima delle 21 ci spostiamo verso il pit e troviamo comodamente posto vicino alla fantastica, che zio la benedica, torre del suono d3. Il sole sta calando del tutto e mi gioco una mano che le foto di quel tramonto con le nuvole rosa sono presenti in ognuno dei 230 mila cellulari perennemente alzati al cielo.

Il CONCERTO

Partono che ancora c'è luce e con incredibile puntualità le note della su citata Also Sprach Zarathustra di "2001 Odissea nello spazio" e intimamente ringrazio Vasco di questo omaggio cinematografico che mi riporta alla mia passione più grande, al mio regista feticcio e al mio amatissimo e assoluto Boss del Rock, che un anno fa al Circo Massimo ci omaggiò con Morricone e "C'era una volta l'America".

Da sempre vado ai concerti di questi due artisti e da sempre li accomuno per l'eccesso di generosità dal vivo nei confronti del loro popolo di ciancicati guerrieri del quotidiano e, senza entrare nel merito delle specifiche musicali di ciascuno, regalano con spettacoli rituali ogni volta diversi, emozioni indelebili e catartiche in grado di durare e rigenerarsi nel tempo.

Un boato accoglie l'ingresso sul palco del Komandante e la scaletta è rispettata: si parte con "Colpa d'Alfredo" e non ci si ferma più, tranne per qualche minuto di totale silenzio tra un tempo e l'altro (cosa che con Springsteen non avviene mai): un interminabile, unico coro, accompagna ogni nota di ogni pezzo scelto, "siamo qui" e non "siamo soli" sembriamo urlare su quella distesa a perdita d'occhio di terra e battiti del cuore a chi ha saputo accompagnare la nostra crescita come persone, regalarci momenti da ricordare, partecipare al film della nostra storia umana e musicale, piacere ai nostri padri ieri e ai nostri figli oggi, unirci un unico respiro intanto che le diversità fra gli uomini cadono e le paure per la vita diventano compagne di strada da comprendere e ammansire.

È il concerto degli abbracci, degli occhi lucidi, dei baci immancabili delle coppie innamorate e di quelli non regolamentari fra innamorati per una notte, del sudore mischiato all'amore verso un comune senso del vivere, è il concerto che mi spezza il fiato con la versione più bella e poetica di "Anima fragile" mai sentita, il concerto in cui ci sentiamo, e siamo, tutti a casa. Pure "non mi chiamo Enzo" di Taranto che se l'è passato in ginocchio a vomitare e a soffrire il freddo polare nelle viscere.

Non c'è storia, è così, e lo sappiamo "solo noi" 230 mila paganti e chissà quanti di quelli che lo seguono nei palazzetti, nei cinema e nella spezzettata diretta tv. Nessuno come Lui in Italia, nessuno capace di mettere insieme una ciurma di sciroccati tanto diversi fra loro e farli sentire unici e speciali a modo proprio.

Nessuno in grado di svuotare e riempire i cuori senza soluzione di continuità.

"Siete fantastici, siete i più grandi, siete i più belli... e ce la farete tutti!" ci urla come al solito sul finire di "Alba chiara" intanto che il palco si illumina a giorno sotto una pioggia di fuochi pirotecnici da far invidia a Sidney la notte di capodanno. E noi ci crediamo che ce la faremo, è il minimo sindacale dopo una giornata così a reggere caldo, fatica ed emozioni impossibili da contenere in qualunque altro contesto. Ci abbracciamo, salutiamo i nostri migliori amici per un giorno che non rivedremo più e mano nella mano ci avviamo verso l'uscita.

Uscire dal Parco

Una parte orribile questa storia doveva averla, no?

Eccola: 2 ore di fila inscatolati al buio e trasportati dal movimento di una massa informe di persone che lentamente si avviano verso le uniche, pochissime uscite predisposte vicino al palco. Zero cognizione e senso dello spazio, impossibile prendere il cellulare per fare luce con le torce, faticosissimo restare tutte attaccate mano nella mano per non perderci intanto che la folla spinge e talvolta si agita, le forze dell'ordine ci guardano senza parlare al di là del labirinto di transenne che stiamo percorrendo e a uno a uno, come siamo entrati, usciamo dagli stretti varchi conquistando la strada cittadina. Inevitabile chiedersi che cosa sarebbe potuto succedere se qualche demente avesse scatenato il panico con urla e allarmi vari e come avrebbero fatto a evitare la mattanza in una situazione priva di spazio e margine di fuga come quella, o anche solo come avrebbero potuto soccorrere qualcuno colto da improvviso malore.

Ma per carità, se il plauso alla sicurezza è stato unanime e condiviso, evidentemente sono io a non capirci nulla e i miei quesiti sono tutt'altro che legittimi.

Verso la Stazione

Camminiamo e camminiamo e durante il tragitto ci fermiamo a mangiare un trancio di pizza margherita da record della bontà fatto con uno speciale impasto al nero di seppia, roba da prendere il treno per Modena adesso solo per farla assaggiare a tutte le persone a cui tengo. Rifocillati e quel minimo riposati per affrontare la calca prevista alla Stazione di piazza Dante, ci avviamo con calma ed entriamo nell'incantevole Giardino Ducale Estense dove si palesano immediatamente capannelli di persone sdraiate nelle aiuole e sulle panchine che ci avvisano del blocco attuato dalle forze dell'ordine all'ingresso della Stazione per evitare l'assalto ai treni.

"Stanotte non si parte" ci dicono tutti e noi allora tiriamo fuori i parei e li stendiamo nell'aiuola sotto al monumento del generale Nicola Fabrizi. Sono quasi le 4 di notte, l'erba è bagnata e i gradi sono 14. Ci addormentiamo tutti in fila abbracciati dopo 20 minuti di stupidera galoppante in cui io piango e rimpiango una sciarpa portata precauzionalmente per emergenze come questa e che ovviamente ho perso chissà dove.

Poco prima delle 5, piegati dal freddo, ci avviamo davanti alla Stazione per capire se la situazione è migliorata. Una folla in piedi che non finisce più e decine e decine di persone straidate sull'asfalto attendono di poter accedere al vialetto che porta ai treni. Solo alle 8 e dopo esserci separate dalle due amiche che preferiscono raggiungere direttamente Milano, riusciamo a prenderne uno per Bologna e alle 9 siamo finalmente al b&b, gentilmente lasciato a nostra disposizione per tutta la giornata fino alla partenza serale di ognuna verso le proprie destinazioni.

Alle 14 approdiamo nel mitico Ristorante Pizzeria Le Rose in via Corticella e dopo esserci fatti coccolare dalla proprietaria dolcissima, di origine sarda come noi, salutiamo Bologna con la pancia piena, il cuore gonfio e la testa verso un deciso "no, non ho più l'età".

Fino al prossimo giro.