Tutti noi abbiamo visto, almeno una volta, in un poliziesco americano l’interrogatorio fatto alle vittime sulla base del riconoscimento visivo. Tecnica che si può ritrovare non solo in un film o nelle pagine di un libro, ma che viene utilizzata realmente. E’ però possibile dire che sia indubbiamente efficace?
Senza dover andare troppo lontano, ognuno di noi può riconoscere di fare quotidianamente uso della propria memoria visiva o iconica, la stessa che viene utilizzata da un testimone oculare per riconoscere il colpevole. Ne facciamo uso quando per esempio pensiamo al volto di una persona a noi cara, rivivendone momenti preziosi insieme, oppure quando facciamo “mente locale” per ricordarci dove abbiamo lasciato le chiavi di casa o ancora quando siamo di fretta e visualizziamo mentalmente la strada più corta da percorrere.
La nostra memoria iconica è dunque davvero molto utile, eppure quasi nulla di ciò che ricordiamo coincide e aderisce perfettamente alla realtà.
Come funziona la memoria?
Essa può essere suddivisa in tre categorie: la memoria sensoriale, la memoria a breve termine (MBT) e la memoria a lungo termine (MLT). La memoria sensoriale è essenzialmente l’insieme di tutti gli stimoli che riceviamo dall’esterno grazie ai nostri organi sensoriali: odori, rumori, gusti, immagini e sensazioni come il freddo o il caldo. Questi stimoli vengono raccolti e assorbiti così come sono, ovvero senza subire variazioni, dalla memoria sensoriale, per poi decadere, sparire, dopo pochi millisecondi. Le informazioni che invece permangono vendono codificate (convertite nel linguaggio usato dalla memoria) e trasferite nella MBT, in cui vengono mantenute per circa 12 secondi.
Dopodiché, così come per la memoria sensoriale, esse decadono: la memoria a breve termine ha infatti una capacità limitata che in Psicologia viene indicata con una stima di +/- 7 chunks. Una volta raggiunta la capienza massima le informazioni trattenute fino ad allora vengono eliminate per far spazio. Noi utilizziamo la MBT quando, ad esempio, ci ripetiamo mentalmente un numero da trascrivere assolutamente oppure quando, a scuola, prendiamo appunti: una distrazione, come il compagno che ci parla, o un insegnante che spiega troppo velocemente può far decadere l’informazione proprio perché la MBT viene sovraccaricata da una serie di stimoli troppo numerosi.
Infine alla memoria a lungo termine giungono poche informazioni dalla memoria a breve termine, le quali vengono rielaborate. Quest’ultima memoria è illimitata poiché nessuno è ancora riuscito a dimostrarne i limiti. La MLT contiene tutti i nostri Ricordi: tutto ciò che sappiamo sul mondo e di noi stessi. D’altronde noi siamo la nostra memoria: immaginatevi di svegliarvi senza alcun ricordo di ciò che vi circonda e del vostro passato.
Vi trovereste ovviamente senza identità.
Dunque la memoria è affidabile?
Indipendentemente che voi abbiate o no una buona memoria, che riguarda la facilità nel recuperare determinati ricordi, essa è un sistema estremamente efficiente di immagazzinamento, trasferimento, rielaborazione, delle conoscenze. Proprio perché i ricordi subiscono così tante trasformazioni e sono soggetti a così tanti passaggi, è necessario prenderli “con i guanti”. La prospettiva con la quale osserviamo l’affidabilità della memoria si complica se aggiungiamo l’influenza che può avere l’impatto emotivo, e dunque l’interpretazione soggettiva, su ciò che ricordiamo! Per spiegare meglio ciò che intendo, riporto di seguito un esempio: Donald Thomson, un esperto di testimonianza oculare, fu accusato di violenza dopo essere apparso in un’intervista televisiva australiana.
Si scoprì, in realtà, che la vittima stava guardando quel programma televisivo nel momento in cui il vero stupratore era entrato in casa sua. La donna ricordava quindi correttamente quel volto in quello specifico momento, ma lo aveva attribuito alla persona sbagliata! Questo tipo di associazioni sono molto comuni, e vengono definiti ricordi flashbulb: un evento di particolare impatto emotivo che sembra essere congelato perfettamente nella memoria.
Gli esperimenti di Elisabeth Loftus La dottoressa Loftus si occupò in modo approfondito del tema dell’affidabilità delle testimonianze oculari con una serie di esperimenti. In uno dei suoi primi lavori ai soggetti dell’esperimento furono fatti guardare sette video, ognuno contenente un incidente automobilistico reale dalla durata di pochi secondi.
Dopodiché ad ogni persona, per ogni video, è stata rivolta la domanda: “A quale velocità andavano le due macchine quando si sono scontrate?”. La domanda non fu però formulata nella stessa maniera per tutti i soggetti: il termine “scontrate” veniva infatti sostituito con “fracassate”, “urtate”, “toccate”. In questo modo si osservò che nonostante tutti avessero assistito di volta in volta allo stesso filmato, le risposte variavano in modo significativo in base al termine usato, il quale poteva suggerire un grado più o meno alto di gravità.
In un altro esperimento veniva mostrato a 40 studenti universitari il filmato, dalla durata di 3 minuti, di una dimostrazione politica universitaria. Nel filmato si vedevano otto dimostranti che danneggiavano materiali presenti in un’aula.
I soggetti venivano poi divisi in un paio di gruppi, i quali dovevano rispondere a due domande differenziate: “era un maschio il capo dei quattro dimostranti che sono entrati nella classe?” e “Era un maschio il capo dei dodici dimostranti che sono entrati nella classe?”. Dopo una settimana gli studenti dovevano tornare e rispondere ad una nuova domanda: “Quanti dimostranti hai visto entrare nella classe?”. I risultati sono sorprendenti: gli studenti del primo gruppo (che avevano la domanda con quattro dimostranti) sostennero di aver visto entrare in classe 6-7 persone; gli studenti del secondo gruppo sostennero invece di averne viste 8-9. L’esperimento dimostra come una presupposizione, seppur falsa, all’interno di una domanda induca una determinata risposta.
Ovviamente i testimoni non danno risposte errate per propria volontà, anzi essi sono fermamente convinti di dire la verità: l’elaborazione costruttiva è un processo tramite il quale i ricordi vengono riorganizzati e rimodellati, spesso quando si hanno dettagli mancanti, sulla base di una linea logica che fa sembrare l’accaduto coerente alla persona. Così si vengono a creare i falsi ricordi.