Fedeli al gigantismo americano, così come vuole la pop art d'oltreoceano, Obama e consorte finalmente immortalati alla National Gallery di Washington da Kehinde Wiley ed Amy Sherald, esponenti di punta della pittura afro amaericana e molto quotati nel mercato dell'arte.

Wiley, pittore dai gusti estrosi, elenca al suo attivo una gallery di ritratti di cantanti rap e personaggi dello star system afro, audacemente inseriti dentro tappezzerie floreali che non risparmiano esplosioni di colore né fantasie di accoppiamenti con i soggetti e, di quest'ultimi, le pose, la mimica facciale, la prosasticità, sono lo stile che lo contraddistingue e che gli ha conferito il successo.

I quadri di Wiley costano moltissimo, un processo di fabbricazione complesso che raccoglie centinaia di foto, abiti di stilisti in voga, e ancora i patterns computerizzati per riempire le superfici, spesso per ultimare le sue tele si trasferisce per alcuni mesi all'estero, in oriente per esempio, dove ingaggia team di artisti che lo supportano. Così Barack Obama sceglie l'eccentricità afroamericana e fa bene, è una sferzata culturale, è la mossa del cavallo che lascia un immagine di sé non stereotipata cavalcando le avanguardie, antitetica al suo successore Donald Trump.

Ma passiamo a Michelle Obama: la pittrice Amy Sherald la ritrae in posa da regina e con lo sguardo diretto all'osservatore, indossa un abito dai motivi optical e dalle tinte tenui su uno sfondo uniforme celestino, come a voler rinforzare il colore della pelle, anche se la Sherald preferisce le tonalità del grigio per gli incarnati, sarà per ammorbidire i tratti somatici o perché in pittura il bistro grigiastro serve a neutralizzare la tavolozza sgargiante.

E sono belli i ritratti di quest'artista, a mio avviso nel concept illustrazione, sia per i toni che per l'impostazione dell'immagine, un figurativo pop che ritrae la gente comune, di colore, sempre ben vestita e con un look mirato, a ben guardare i suoi pennelli sono intimisti, i suoi occhi puntano sul sociale.

I coniugi Obama sono dunque entrati nella sale della National Gallery raggianti come sempre, con quella naturalezza accattivante che li ha immortalati in pittura come nei libri di storia: anche loro icone pop, messaggeri di un tempo che stravolge popoli e continenti: continua così la loro campagna antirazziale che non lascia fuori l'arte ed il sociale.