Si potrebbe parlare di un tempismo perfetto quando ci si riferisce alla pubblicazione del libro di Federico Mello “Il lato oscuro di Facebook”, che proprio dagli ultimi giorni di marzo è in tutte le librerie d’Italia. In concomitanza con lo scandalo che ha travolto Cambridge Analytica e la società di Mark Zuckerberg viene pubblicato un testo che denuncia Facebook descrivendolo come una nuova forma di droga, che dà dipendenza e distorce la percezione dei suoi utenti, che ad oggi sono circa 2 miliardi.

La dopamina come forma di droga

Fermiamoci un attimo a riflettere su quest’ultima nota, la dipendenza: essa si può presentare in due modalità, quella organica, possibile solo tramite l’assunzione di sostanze specifiche, e quella psicologica, come la dipendenza dal gioco d’azzardo.

La dipendenza psicologica, infatti, non coinvolge nessun fattore esterno, si basa infatti sulla produzione personale di dopamina del cervello umano; essa è un neurotrasmettitore che il nostro corpo concretizza come una sensazione di naturale piacere, felicità incondizionata e immotivata. La dopamina ovviamente viene prodotta in determinati contesti psicofisici, come per esempio durante uno sforzo molto intenso (tipo una maratona ad esempio), oppure in contesti assolutamente dannosi, come nel gioco d’azzardo. Allo stesso modo Facebook sarebbe organizzato in modo da produrre dopamina in risposta ai like, commenti, condivisioni e popolarità fittizia che gli utenti social percepiscono.

Le trappole sociali

A questo punto l’utente medio cercherà continuamente questo genere di sensazione associando la felicità al suo contributo dietro lo schermo, generando un circolo vizioso, una trappola sociale; tipicamente le trappole sociali coinvolgono due persone in una discussione, ma in questo caso la trappola si concretizza tra la persona e lo strumento per il piacere, ovvero Facebook come qualunque social network.

Una trappola sociale è una condizione degenerativa che porta il soggetto coinvolto a perdere il controllo sugli eventi fino a farsi dominare da essi. La condizione è effettivamente degenerativa, visto il crescente numero di ore che la gente spende sui social network, i quali all’occhio comune non sono più dannosi della televisione o dei videogiochi. Lo sono realmente? Ai posteri l’ardua sentenza, per ora limiamoci a sapere che provocano danni diversi.