Solo nella giornata di ieri Donald Trump si è complimentato con il premier italiano Giuseppe Conte per il trattamento del tema immigrati. Ma cosa si proverebbe ad andare dall'altra parte del mondo, con i propri figli, e tornare a casa consapevoli di averne perso uno? Brividi solo al singolo pensiero. Invece è successo davvero e i protagonisti di questa terribile storia sono i genitori di Ervin Ottoniel, un bimbo di 10 anni costretto, a causa della Politica di Trump, a separarsi dai genitori. La famiglia di Ervin è originaria del Guatemala e per cercare un futuro migliore, si è trasferita in Texas, negli Stati Uniti.

L'obiettivo era quello di far crescere propri figli in un posto dove avrebbero potuto realizzare i loro sogni, ma purtroppo per José Ottoniel ed Elvia le cose non sono andate come si aspettavano. La loro è una storia composta da tanti drammi, uno dopo l'altro.

La storia di Ervin

C'è un intervallo tra una frase un'altra. Non riesce nemmeno a completarne una su suo figlio, che Elvia, sua madre, medita e non riesce a nascondere il rossore nei suoi occhi. La comprensione in questi casi è d'obbligo. José, il marito, invece è freddo, ma nei suoi occhi si cela un terribile dolore. Si nasconde quel pensiero fisso su Ervin, che a dieci anni ha dovuto lasciare la propria famiglia.

È iniziato tutto a giugno, un mese dopo che il presidente americano ha deciso di adottare il metodo tolleranza zero (contestato anche dalla moglie Melania) contro gli immigrati.

Per motivi burocratici José e Elvia sono stati costretti a lasciare l'America e tornare nel loro paese d'origine. Un grande problema, ma facciamo un passo indietro.

Benvenuti a Las Nueces

Las Nueces è il posto in cui viveva la famiglia Ottoniel. Un luogo dove chi lavora, spesso, è un contadino (quando non è disoccupato). José aveva pensato che Ervin meritasse un futuro migliore di quello.

In terza elementare il suo bambino era già il più intelligente della classe e addirittura aveva disegnato se stesso su un computer portatile. Quando gli fu detto che non poteva continuare gli studi si arrabbiò molto: è sempre stato un ragazzino ambizioso. In Guatemala gli studi non si pagano, ma bisogna comunque sborsare per gli insegnanti, i libri e le divise.

Il valore totale ammonterebbe a circa 130 euro. Non è tanto? Ditelo al padre di Ervin, che lavorava per diciotto euro alla settimana.

I soldi per partire in America non c'erano. José ha di conseguenza richiesto ad una banca l'equivalente di 6.400 euro, Soldi che avrebbe poi dato ad un trafficante che li avrebbe fatti arrivare negli Stati Uniti. Non sapevano, però, di andare contro a quelle che erano le regole imposte da Donald Trump, che negli ultimi giorni si è trovato protagonista nel caso Google.

La terribile notizia

Quando a giugno il padre di Ervin ha ricevuto l'avviso di espulsione, ha cercato di capire cosa stesse succedendo. Un caso analogo era già avvenuto alla famiglia Lopez e, a raccontarlo, è una donna di nome Ana: «Alcuni di questi genitori -spiega- vivono in posti pericolosi.

È per questo motivo che sono costretti, loro malgrado, a separarsi dai propri figli».

José si trova dinanzi ad una scelta dolorosissima. Qualsiasi cosa farà, il futuro del suo Ervin sarà influenzato dalla sua decisione. Dopo che gli sono state fornite le spiegazioni, è stato costretto a partire e lasciare suo figlio in Texas. Prima è stato trasferito in una casa circondariale nel sud del Texas, e poi gli sono state elencate le opzioni a disposizione. Se non avesse accettato avrebbe dovuto passare sei mesi in carcere e gli sarebbe stato vietato vedere il figlio. Per questo, onde evitare che il piccolo Ervin piangesse, al momento dei saluti gli ha detto: «Portano te a scuola e me al lavoro». José ha deciso con il cuore.

Il futuro di Ervin e della sua famiglia

José alla fine si ritrova con 3.400 euro da restituire ad un trafficante. Molto probabilmente la banca deciderà di portargli via la casa. Secondo uno studio dell'università di Arizona riportato da l'Internazionale, questo fenomeno sulla migrazione del Guatemala starebbe creando migliaia di senzatetto. Arvin invece ha un cugino in Arkansas, ma è anch'egli un immigrato irregolare. Non un dettaglio.

Quest'ultimo -che ha preferito restare anonimo- vive da dieci anni negli USA e ha dichiarato che, secondo il suo punto di vista, Ervin potrebbe avere un futuro migliore negli Stati Uniti. Adesso la comunità di Las Nueces non fa altro che chiedere ai genitori del piccolo la più straziante delle domande: «Ne è valsa la pena?

». Una volta alla settimana inoltre un gruppo della chiesa locale si reca dagli Ottoniel a pregare per il bimbo di dieci anni.

Purtroppo il finale di questa storia non è a lieto fine. Elvia tira fuori un foglio di carta che le è stato consegnato da un funzionare del governo statunitense, è scritto in spagnolo: «Cerchi informazioni su un bambino arrivato negli Stati Uniti?». Sotto c'è un numero di telefono, ma a pagamento. Non può chiamare. I figli della coppia, quando arrivano a casa, guardano le foto del fratello: «Gli manca -ammette José- Non so cosa raccontargli». Finisce così la storia di Ervin. In attesa di un futuro tutt'altro che certo, noi continuiamo a sperare in un lieto fine.