La politica mercantilista di fiero entusiasmo per un'economia sempre più export-driven ha come rovescio della medaglia una domanda interna ridotta al lumicino. Pensare di farla ripartire con 80 euro in più in tasca vuol dire perculare visibilmente un'intera nazione. Ieri l'Istat ha pubblicato i dati relativi al commercio al dettaglio in marzo e il quadro che ne viene fuori è a dir poco allarmante.
Rispetto ad un anno fa, le vendite al dettaglio sono diminuite del 3,5%. E' il quarto calo mensile consecutivo.
La feroce spending review che le famiglie italiane stanno conducendo per salvare il salvabile non risparmia nessun settore merceologico.
L'acquisto di prodotti alimentari è diminuito del 6,8% rispetto ad un anno fa mentre il primo trimestre di quest'anno vede un calo del 2,9% per lo stesso comparto di prodotti.
Il commercio al dettaglio per prodotti non alimentari presenta invece un moderato calo dell'1,5% su base annua. Su 13 classi merceologiche solo due resistono ai colpi della crisi. Le vendite di calzature e di utensili per la casa sono in crescita rispetto ad un anno fa, rispettivamente del 2,6% e dell'1,1%. Per tutti gli altri prodotti si assiste ad un crollo incontrollabile. Pensiamo al settore degli elettrodomestici e dei beni casalinghi durevoli (cucine, forni, lavastoviglie, frigoriferi) che, nonostante gli incentivi previsti dal decreto Ecobonus approvato dal precedente governo Letta, è in caduta libera con un -2,1% rispetto allo scorso anno.
Per #cambiareverso non bastano promesse e speranze. L'austerity "tassaiola" è fallita e le elezioni europee possono essere la chiave di svolta per innestare un cambiamento concreto. Un eventuale riconferma della convergenza PPE-PSE su politiche deflattive sarebbe il colpo di grazia per gli eurodeboli, tra cui l'Italia. Per ora, speriamo.