Correva l’anno 2008. Un anno dopo lo scoppio della crisi finanziaria internazionale anche l’Italia precipitava in un burrone da cui non è ancora risalita. Il Pil segnava una crescita negativa pari a -1,2%, per poi sprofondare nel 2009 (-5,5%). Sono passati otto anni e il quadro è sicuramente migliorato, ma il nostro paese ha ancora tanta strada da fare per tirarsi fuori dal morso della crisi. Almeno questo è ciò che sostiene il Fondo monetario internazionale (Fmi), alla luce del rapporto emesso con l’articolo IV: 83 pagine di dati e considerazioni sullo stato dello sviluppo economico e politico dell’Italia.
Che cosa ne esce fuori?
Ripresa lenta e costellata di rischi
Secondo il rapporto del Fmi, l’Italia “sta gradualmente recuperando da una profonda e protratta recessione”, ma aggiunge che il processo di guarigione sarà probabilmente più lungo e sottoposto a numerosi rischi. Italia vulnerabile, esposta a minacce che potrebbero concretizzarsi e generare effetti a catena sul resto dell’Europa, dove al momento restiamo la terza economia più grande, ma con un debito pubblico che è inferiore soltanto a quello della Grecia. L’articolo IV individua nella metà degli anni ’20 il periodo in cui l’Italia tornerà ai livelli precedenti alla crisi: nel frattempo ci sono circa altri dieci anni di sofferenza, crescita più lenta rispetto agli altri paesi dell’Eurozona e banche esposte pesantemente agli shock economici.
In particolare, l’Fmi stima una crescita del Pil sotto l’1% nel corso di quest’anno e leggermente superiore per il 2017; in entrambi i casi siamo al di sotto delle previsioni. Secondo le rilevazioni dell’Istat, la graduale ripresa economica italiana è sostenuta dal miglioramento dei ritmi produttivi dell'attività manifatturiera e dai primi segnali di ripresa delle costruzioni, in presenza di un recupero della redditività delle imprese e di un aumento dell'occupazione.
Segnali meno incoraggianti, invece, arrivano dai consumi, dal clima di fiducia delle famiglie e dalle imprese dei servizi.
Le banche, la disoccupazione e il peso di Brexit: i problemi sono tanti
I punti più deboli della nostra economia sono la disoccupazione (attestatasi all’11,5% nel mese di maggio), le banche in difficoltà e il debito pubblico.
La volatilità del mercato finanziario, sostiene l’Fmi, include fattori come la Brexit (in conseguenza del quale, ad esempio, una banca come Unicredit ha perso un terzo del suo valore, vedendo scendere le sue azioni di quasi il 4%), il rallentamento del commercio globale che influisce negativamente sulle esportazioni, i flussi migratori e le minacce per la sicurezza che possono ulteriormente complicare l’azione del governo italiano. Quanto alle banche, uno dei maggiori problemi da affrontare è quello relativo ai cosiddetti “non performing loans” (NPL), ovvero i crediti che le banche non riescono più a incassare, aggravando lo stallo del sistema e precludendo la possibilità di concedere nuovi prestiti.
Tutto ciò non cambia la percezione che il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha del sistema bancario italiano, anzi: “C’è una percezione distorta e infondata – sostiene. Il sistema bancario italiano è solido; viene da tre anni di recessione profonda da cui sta uscendo e le criticità specifiche sono poche”.