Airbnb nasce nel 2008 sulle premesse che spesso, in alcune località, nei periodi di alta stagione non sono disponibili alloggi turistici e, se lo sono, il prezzo è salato; d'altro canto c'è tanto spazio residenziale disponibile che non trova la giusta allocazione nei tempi e nei modi che sarebbero più convenienti per i proprietari, insomma che non viene monetizzato come potrebbe viste le rigidità del mercato immobiliare.
Con la crescita esponenziale delle prenotazioni iniziarono a venir fuori le criticità: la prima è un peccato originale,il mercato della ricettività ha leggi e regolamenti locali, non nazionali, e quindi Airbnb si trova a fare i conti con tante normative diverse quante sono le destinazioni turistiche su cui opera (700 al momento), comportando quindi notevoli costi aggiuntivi di lobbying.
Airbnb contro Cuomo
Per molti anni, Airbnb ha sfruttato la benevolenza di molte autorità locali che hanno spesso chiuso un occhio su un fenomeno nuovo; ma ora rimanere fuori dai radar occhiuti degli albergatori a cui è stato sottratto l'osso non è più possibile e questi, come le comari nella canzone di De André, gli hanno scatenato contro l'autorità costituita, che a New York City, di gran lunga il principale mercato mondiale per Airbnb, ha le sembianze di Andrew Cuomo che ha dichiarato NYC"off milits" per l'azienda californianiana, anche se, per il momento, come ogni buon politico che si rispetti, ha sospeso l'applicazione della legge in attesa di vedere che fine farà il ricorso che Airbnb ha prontamente presentato.
Il vero nodo della sharing economy è che per una strana alchimia, non vengono mai discussi i suoi effetti sull'occupazione. In altre parole, il problema fondamentale: il numero dei posti di lavoro creati contro quelli distrutti, e anche la qualità dei posti creati, dovrebbe essere il punto centrale del dibattito, perché se uno 'sviluppo economico' non contribuisce ad aumentare il benessereeconomico dei cittadini, allora si può affermare che è meglio farne a meno.
Il trucchetto logico dei cosiddetti liberisti è stato quello di sostituire l'interesse dei lavoratori con l'interesse dei consumatori, come se i due fossero incompatibili. Allora, per difendere Airbnb si potrebbe dire: fa spendere meno- rispetto agli alberghi - a tanti viaggiatori (consumatori). Anzi, di più: insieme alle compagnie low cost ha reso possibile il viaggio per chi, prima, nemmeno poteva permetterselo.Però non viene mai mostrato l'altro lato della medaglia: per fare ciò, qual'è l'impatto sull'occupazione, cioè sulle stesse occasioni di lavoro da cui il cittadino dovrebbe trarre il reddito per pagarseli questi viaggi, sia pure a costi minori rispetto a prima?
Lo abbiamo visto, per rimanere nell'ambito turistico, con i grandi portali di prenotazioni alberghiere che hanno spazzato via un'intero settore, quello delle agenzie di viaggio, che offriva migliaia di posti di lavoro sul territorio, sostituendoli con un pugno di impiegati delocalizzati, in Irlanda perlopiù. Ora, con l'avanzata di Airbnb, lo stesso succederà sempre più per le opportunità di lavoro 'locali' offerte dalle strutture alberghiere, che rischiano anche loro di essere decimate per essere sostituite con una pattuglia di colletti bianchi localizzati nelle brume irlandesi e dal lavoro dei proprietari degli appartamenti, dilettanti in proprio. La differenza è, a scanso di equivoci, negativa.
C'è da chiedersi perché, allora, l'Unione Europea abbia pubblicamente 'sponsorizzato' la sharing economy senza nemmeno prendere in considerazione le ricadute occupazionalidi un business che mette in competizionedei dilettanti, i proprietari delle case, con dei professionisti, gli albergatori, sfruttando i prezzi più bassi che i primi possono offrire grazie alla mancanza di costi fissi, a cominciare dai dipendenti, e quindi, in prospettiva, diminuendo drasticamente le opportunità di lavoro offerte dal settore. Èarrivato il momento di chiederselo seriamente: è veramentequesto che vogliamo?