Dal referendum che ha approvato il “leave”, i viaggi nell’euro zona costano il 16% in più per i turisti ed affaristi britannici. Ma se fino a questo momento l’indebolimento della sterlina aveva toccato soltanto il settore turistico e quello finanziario, da adesso in poi inizierà a farsi sentire nella vita quotidiana del Regno Unito. La celebre english breakfast, al momento, ha perso uno dei suoi elementi più caratteristici: la Marmite. Probabilmente, in Italia, il nome di questa crema spalmabile dal colore scuro non evocherà alcuna immagine, ma in Gran Bretagna questo prodotto è quasi un’istituzione alimentare.
La Marmite è solo uno dei diversi prodotti a marchio unilever, la multinazionale anglo-olandese che ha deciso di aumentare i prezzi dei propri prodotti a causa del crollo della sterlina. Con l’aumento dei prezzi all’ingrosso, infatti è conseguente un aumento dei prezzi al dettaglio, pertanto le alternative si limitano a due: o i prezzi aumenteranno, oppure gli inglesi dovranno dire addio ai prodotti Unilever.
A fronte di questa decisione, la Tesco, la più grande catena di supermercati inglese, si è vista costretta ad un taglio di prodotti popolari di importazione: all’esaurimento delle scorte di magazzino, i banconi dei propri supermarket non verranno più riforniti con i prodotti Unilever.
La notizia, nel Regno Unito, è di primo rilievo sulle pagine dei giornali e nei telegiornali: se gli altri effetti del crollo della sterlina non hanno scosso troppo i sudditi britannici, la rinuncia alle tradizioni gastronomiche li ha colpiti e scioccati.
Oltre alla crema spalmabile, infatti, la lista dei prodotti è davvero lunga: i gelati a marchio Magnum, il tè Lipton, i prodotti Knorr, ma anche i saponi Dove e l’olio Bertolli. Addirittura sui social network sta spopolando l'hastag#marmitegate.
Poche ore fa, l'Unilever ha annunciatodi esserearrivata ad un compromesso sui termini di aumento dei prezzi con la catena Tesco.
Il Regno Unito, quindi, potrà avere ancora i suoi prodotti, ma a pagare saranno comunque i consumatori, nell’immediato. Con l’aumento dell’inflazione, si andrà a configurare quello che gli economisti hanno prospettato con l’avvento della Brexit. Aumenteranno, infatti, le esportazioni (di fatto meno care), ma salirà il prezzo delle importazioni.
L'inglese medio, dunque, sarà colui che verrà maggiormente colpito dall’inflazione derivante dalla Brexit, paradossalmente lo stesso inglese medio che ha votato a favore dell’uscita dell’UE con la convinzione di ottenere un futuro migliore, meno immigrati e più benefici per i propri compatrioti. Finora non sta accadendo nulla di ciò, e continuerà ad essere così se la sterlina non riprenderà quota.
Non aiutano, purtroppo, i toni di David Davis che è tornato a ribadire una più probabile "hard Brexit", ovvero l'uscita anche dal mercato comune: l'effetto è stato un ulteriore calo della moneta britannica. La sterlina, dopo aver affrontato le grandi crisi economiche del passato, tocca illivello più basso degli ultimi 168 anni e continuano ad arrivare notizie poco confortanti dalla City.
Dire addio a Bruxelles(saldo di impegni precedenti, condivisione di spese collettive e costi legali) costerà 20 miliardi di sterline ai britannici. Forse, oltremanica il vento della Brexit inizia a diventare tempesta.