Secondo alcune fonti sindacali il tanto atteso piano industriale di Arcelor Mittal è finalmente arrivato: le oltre 500 pagine sono state recapitate a Palazzo Chigi direttamente da Londra, senza alcun incontro ulteriore tra i vertici della multinazionale dell'acciaio e i rappresentanti del governo italiano. Nel documento sono evidenziati i punti salienti del nuovo piano quinquennale che si discostano dagli accordi firmati a marzo.

Il rinvio dell'ammodernamento dell'Altoforno 5

A causa della crisi mondiale del mercato dell'acciaio, dovuta agli effetti della pandemia da coronavirus, l'azienda procrastina i lavori di ammodernamento dell'Afo 05, il più grande altoforno d'Europa, che risulta spento dal 2015 per fine ciclo.

Ma perché questo dato sembra essere così rilevante? L'Altoforno 05, al quale va attribuito il 40% della produzione totale di acciaio degli impianti tarantini, è stato spesso oggetto di scontro tra la multinazionale franco-indiana, restia a utilizzarlo, e i vertici regionali, che premevano per un suo rifacimento all'insegna della tecnologia verde.

È chiaro che rinviare il ripristino delle funzioni dell'Altoforno 05, siano esse improntate a tecnologie tradizionali o più innovative, significa sostanzialmente che l'azienda non ha intenzione di aumentare in maniera significativa i livelli di produzione; i sindacati, infatti, affermano che la multinazionale voglia attestare i livelli produttivi a sei milioni di tonnellate annue, ritenuti, tuttavia, esigui per garantire livelli occupazionali decenti.

Recentemente l'amministratore delegato di Arcelor Mittal, Lucia Morselli, ha ammesso che le mail con cui i clienti dell'azienda chiedono il rinvio o la sospensione degli ordini sono ormai quotidiane.

Per Marco Bentivogli, segretario della Fim-Cisl, tuttavia, il lockdown causato dal Covid-19 ha fornito ad Arcelor Mittal "un ottimo alibi per continuare lo smantellamento degli impianti senza proseguire le opere ambientali".

Licenziamento di 3.200 lavoratori e assunzioni di 7.500 unità entro cinque anni

Sul piano occupazionale l'azienda prevede 7.500 assunzioni, da attuarsi in un arco di tempo di cinque anni, ma annuncia anche il licenziamento di circa 3.200 unità lavorative entro il 2020. A questi si aggiungono circa 1.800 operai rimasti in carico all'amministrazione straordinaria dell'ex Ilva che, secondo gli accordi di settembre 2018, avrebbero dovuto essere riassorbiti nel nuovo organico aziendale e che ora rientrano nelle unità in esubero.

Resta confermata la richiesta di cassa integrazione avanzata ieri per 8.157 dipendenti (quasi tutto il personale dello stabilimento tarantino), che dovrebbe partire il prossimo 6 luglio e durare presumibilmente nove settimane.

Nel complesso la cifra degli esuberi si allontana di poco dai 4.700 prospettati lo scorso novembre. Il dato provoca comunque lo scontento dei sindacati, fermi nel riconoscere validità al solo accordo di settembre 2018, che prevedeva zero esuberi.

Arcelor Mittal chiede circa due miliardi di euro

Tra le richieste avanzate dall'azienda all'interno del piano industriale c'è quella di un prestito di 600 milioni di euro con garanzia Sace, cioè di un finanziamento agevolato garantito dalla società del gruppo Cassa depositi e prestiti e contro-garantito dallo Stato, che il governo ha messo a punto all'interno del Decreto liquidità per supportare le imprese a seguito dell'emergenza coronavirus.

La multinazionale ha fatto anche richiesta di un prestito di 200 milioni di euro a fondo perduto come contributo Covid, di un miliardo di euro per l'ingresso dello Stato nella società e di un'ulteriore somma, detraibile dalla cifra che l'amministrazione straordinaria dell'Ilva ha ricevuto a seguito della causa con i Riva, per un totale di circa due miliardi di euro.

La parola spetta ora al governo, attualmente impegnato in un vertice nel corso del quale dovrà decidere se il piano proposto da Arcelor Mittal sia in linea con gli accordi presi a marzo. Se, come prospettato da Stefano Patuanelli, ministro dello Sviluppo Economico, le richieste della multinazionale non saranno conformi alle aspettative del governo, bisognerà trovare un modo per decretare l'uscita definitiva dell'azienda franco-indiana dalla vicenda e prevedere l'ingresso dello Stato a sostegno dell'intera filiera dell'acciaio.