Per la serie BlastingTalks, intervistiamo Gianluca Perrelli, CEO di Buzzoole. L’azienda offre una tecnologia basata sull'intelligenza artificiale che permette di automatizzare le attività di influencer marketing ottimizzando le fasi di selezione dei creatori di contenuti, gestione delle campagne e misurazione dei risultati.

BlastingTalks è una serie d'interviste esclusive con business e opinion leader nazionali e internazionali per capire come la pandemia di coronavirus abbia accelerato il processo di digitalizzazione e come le aziende stiano rispondendo a questi cambiamenti epocali.

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Buzzoole è un’azienda che si dedica all’influencer marketing. Quali sono i vostri servizi?

È una martech company che ha l’obiettivo di assistere le aziende lungo tutte le fasi di un’attività di influencer marketing. Lo facciamo con due approcci: nel primo caso offrendo un servizio end-to-end alle aziende e assistendole nelle strategie, nella definizione degli obiettivi, nel dispiegamento della campagna di marketing, nella sua erogazione e nella misurazione. Tutto ciò seguendo un modello consulenziale. Il secondo approccio, lanciato pochi mesi prima del Covid, consiste in un’offerta di un software in licenza d’uso e fruibile in modalità SaaS.

Lo strumento si chiama Buzzoole Discovery e permette al brand di cercare e analizzare influencer autonomamente, usando numerosi criteri di ricerca. La tecnologia è il cuore pulsante di Buzzoole e abbiamo automatizzato quasi interamente un processo complesso che va dall’identificazione dei creatori fino al pagamento dei compensi e alla misurazione dei risultati.

Parliamo di intelligenza artificiale: in che modo la usate?

Abbiamo sviluppato un modello basato su algoritmi di deep learning, con modelli statistici e strumenti di analisi delle reti sociali, grazie al quale siamo in grado di categorizzare correttamente gli influencer facilitando l’incontro tra il brand e i creatori. Il modello sfrutta diverse tecniche, come il Natural Language Processing che ci aiuta ad attribuire un’etichetta tematica a oltre 2 milioni di influencer, sulla base dell’interpretazione dei loro post.

Quindi con quali effetti?

Possiamo studiare i comportamenti online e tirar fuori l’associazione migliore possibile tra influencer e brand. Un altro elemento è rappresentato dall’analisi degli insights. Grazie alle informazioni di prima mano che provengono dai social media, riusciamo a disporre di dati puntuali. Abbiamo inoltre una metodologia che ci consente di individuare gli influencer che fanno uso di pratiche fraudolente o che hanno acquisito audience sospette. Questo ci consente di poter misurare lo stato di salute e la qualità degli influencer in modo da consigliare ai brand solo quelli genuini e in linea con la loro brand identity.

L'industria dell’influencer marketing rappresenta uno dei più grandi game-changer in ambito pubblicitario: cosa possiamo attenderci nei prossimi anni da questo settore?

Intanto è un settore che sta diventando sempre più professionalizzato. Parlando di influencer parliamo di una categoria molto ampia di creator. È un mercato stratificato. Da una parte abbiamo persone molto capaci e profondi conoscitori della propria audience, dall’altra parte ci sono coloro che neanche sanno di avere un talento. Quello che vediamo, come dicevo, è una graduale professionalizzazione in termini di offerta da parte dei creator, che si stanno strutturando. Dall’altro lato parliamo di un mercato che in termini di domanda sta diventando sempre più sofisticato, dove si supera l’approccio dei primi anni attraverso il consolidamento di strategie più avanzate.

Possiamo fare degli esempi pratici?

Ad esempio, fare influencer marketing nel mondo dei viaggi è oggi profondamente diverso dal farlo nel settore delle auto o in quello del food. Un tema molto interessante lo abbiamo visto nella frequenza e nella qualità di interazione che i micro influencer hanno con la propria audience, essendo diventati profondi conoscitori della propria platea. In alcuni contesti si sostituiscono addirittura al ruolo dell’azienda quando devono indirizzare la decisione d’acquisto. Spesso lo abbiamo visto nel mondo del make-up, dove viene chiesta agli influencer l’informazione sull’utilizzo del prodotto, quando in precedenza si chiedeva al punto vendita o al commesso. Altro tema interessante per il futuro è l’utilizzo dei virtual influencer, che consistono in avatar creati digitalmente.

Questi strumenti permettono di continuare a raccontare storie di marca attraverso personaggi non in carne ed ossa. Una tendenza che va di pari passo con l’attitudine delle nuove generazioni ad interagire con questa tipologia di avatar.

Può raccontare in che modo sono stati usati i vostri servizi dai clienti?

Si pensi, ad esempio, alla nuova banca che per il lancio del mercato punta ai servizi digitali e ha utilizzato degli influencer per essere credibile in un segmento di mercato che è il loro target, fatto di giovani che apprezzano l’utilizzo dell’home banking e dei servizi digitali. Ci possono essere anche casi di aziende di largo consumo nel settore food. Noi abbiamo lavorato, tra gli altri, con il gruppo Nestlé o con il gruppo Bayer per il multivitaminico Supradyn.

Quale impatto ha avuto la recente crisi dettata dal Coronavirus nel settore dell’influencer marketing?

Gli impatti sono stati diversi e di diversa natura. Al di là delle gravi conseguenze del Covid in molti ricorderanno questo periodo come la pandemia degli influencer, perché se da una parte i virologi sono stati protagonisti, gli influencer hanno rappresentato i migliori interpreti del fenomeno in corso. Sono stati utilizzati da numerosi governi mondiali per incentivare le persone nel restare a casa e contrastare il fenomeno delle fake news. Sono stati coinvolti da subito e ci hanno messo anche la faccia. L’esempio più eclatante è stato quello dei Ferragnez che si sono fatti promotori di una campagna sociale molto importante, raccogliendo più di 5 milioni di euro.

Questo caso è stato preso da esempio da altri influencer coinvolti in attività di charity.

Quali ricadute si sono registrate a seguito di quanto evidenziato?

Tutto questo ha avuto come impatto l’incremento dell’affidabilità. Un fenomeno che ha portato a una serie di ricadute tanto in termini economici, quando settoriali. L’influencer marketing è stato il primo media a essere interrotto, ma anche a riprendere perché è estremamente flessibile. Un altro effetto è stato quello dello storytelling. Secondo il dato rilevato dal Politecnico di Milano, il 74% degli influencer ha modificato il proprio piano editoriale. C’è stata un’esplosione nell’utilizzo delle stories e delle challenge. Questo ovviamente ha fatto volare in generale l’engagement, cresciuto del 71% rispetto ad altri momenti dell’anno.

Sono esplosi anche alcuni nuovi social, si pensi a TikTok che ha iniziato a interessare molte industrie.

Questi ultimi mesi hanno rappresentato un periodo di grande cambiamento, con lo stravolgimento dei tradizionali budget pubblicitari per via di Covid-19 e della conseguente crisi economica: quali sfide possono essere rilevate per l’influencer marketing?

La sfida che abbiamo di fronte in un contesto così instabile è molto chiara: direttamente o indirettamente ci sono le conseguenze dell’epidemia sanitaria. Tutte le informazioni che si sono susseguite in questi mesi hanno reso la vita estremamente angosciante, creando un contesto altamente instabile e portando a una conseguente e radicale ridefinizione del bisogno di sicurezza.

Quando abbiamo iniziato a uscire di casa con la fase 2, le aziende si sono trovate a confrontarsi con un mix esplosivo: la probabile riduzione del potere d’acquisto dovuta al lockdown e la ridefinizione dello standard di sicurezza. A questo punto il consumatore si trova in un’area di discomfort del consumo, perché uscire e comprare porta a maggiori costi e maggiori ansie. Si pensi all’idea di provare un abito in un camerino o di usare il car sharing… tutto oggi è un po’ più complicato. Stiamo parlando di barriere e le aziende stanno facendo tanti interventi verso la riduzione del rischio, ridefinendo i processi di offerta e customer experience.

E ragionando invece in termini di opportunità?

L’opportunità sta nel fatto che l’influencer, proprio in virtù della credibilità sociale che ha acquisito durante il lockdown, si trova di fronte alla possibilità di poter avere un ruolo centrale nei processi di comunicazione.

E proprio in virtù di ciò, potrà comunicare ai propri follower quella che è un’esperienza di consumo. Lo stiamo già vedendo dall’effetto rimbalzo nell’utilizzo degli influencer, con mesi record in termini di fatturato e nuove partnership commerciali.