Per la serie BlastingTalks intervistiamo Flavio Ubezio, fondatore e direttore scientifico di ISO56002.IT. La società fa consulenza specificatamente e solamente in materia di gestione dell'innovazione, con una esperienza decennale nel campo che oggi trova riscontro negli standard internazionali ISO 56000. Al riguardo, negli scorsi giorni ha tenuto il primo Innovation Management Forum italiano.
Blasting Talks è una serie di interviste esclusive con business e opinion leader nazionali e internazionali per capire come la pandemia di coronavirus abbia accelerato il processo di digitalizzazione e come le aziende stiano rispondendo a questi cambiamenti epocali.
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Partiamo spiegando ai lettori com’è nata l’idea di ISO56002.IT
Nella seconda metà del 2019 sono stati pubblicati una serie di standard internazionali che andavano per la prima volta a disciplinare il modo con cui fare innovation management, con l’obiettivo di gestire l’innovazione in termini di imprese attraverso un approccio sistemico. Quindi una modalità che guardasse all’intera organizzazione. Essendo un tema che tratto da ormai tantissimi anni, ho colto l’occasione per sostanziare la mia attività con questi standard internazionali. Standard che ai tempi e ancora tutt’oggi non molti conoscono e trattano.
Può fare qualche esempio specifico rispetto a come operate durante la vostra attività di consulenza?
Ci sono fondamentalmente due modalità, che vanno a servire due esigenze diverse e due segmenti di impresa differenti. Una è per la medio grande impresa. Parliamo delle corporate che si aspettano di portare la gestione dell’innovazione all’interno della propria organizzazione. Quindi in questo caso l’attività di consulenza è volta a istituire delle cabine di regia all’interno dell’impresa.
Di dotare le imprese di regole e di sistemi di governance pensati per fare in modo che l’azienda sia autonoma sul tema, avendo assorbito questo modus operandi.
E per quanto riguarda la seconda modalità?
Quando si scende di dimensione aziendale, ci rivolgiamo a PMI non eccessivamente piccole, cioè dai 30 o 40 impiegati insù. Qui la nostra attività consulenziale punta a fare in modo che l’azienda segua un modo strutturato.
Guidiamo i clienti al 100% nell’approccio alla gestione dell’innovazione, ad esempio articolando in azienda dei momenti cardine e facilitando la creazione di contatti strategici di direzione oppure di comitati trimestrali di avanzamento.
Perché è importante standardizzare e ricercare delle pratiche consolidate nella gestione dell’innovazione?
Fino a oggi l’innovazione è sempre stata trattata in modo artistico. Questi standard danno invece la dimensione del fatto che l’innovazione è una disciplina manageriale. Così come è importante avere degli standard per gestire il marketing o altre attività che sono oggi considerate come strategiche, anche l’innovazione è una disciplina manageriale che è indispensabile inserire e coltivare per non rischiare di restare indietro.
E come valuta il livello di diffusione della cultura dell’innovazione in Italia?
Sicuramente c’è ampio margine di lavoro da parte delle organizzazioni e dei consulenti che le affiancano. Perché in Italia si fa tanta innovazione, ma la si fa in modo un po’ opportunistico o inseguendo le spinte di pochi all’interno dell’organizzazione. Bisognerebbe invece cercare di garantire continuità all’attività di innovation management, di creare e selezionare nuove opportunità da seguire. E per seguirle è necessario applicare un orientamento strategico. Tutti questi elementi mancano totalmente all’interno delle nostre organizzazioni. Si trova un po’ di riscontro all’interno delle grandi corporate, seppure in modo non del tutto strutturato.
Sotto quel taglio d’impresa va tutto pensato e organizzato.
Dal suo peculiare punto di osservazione, qual è stato l’impatto della crisi dettata dal coronavirus sui processi di innovation management?
Il momento che abbiamo recentemente vissuto ha portato le direzioni aziendali a farsi qualche domanda in più. Quindi a cercare di capire come cambiare il modo in cui viene gestita l’innovazione nell’impresa. Tutto ciò, non necessariamente in un settore piuttosto che in un altro. In linea generale, possiamo affermare che le riflessioni in materia di sostenibilità d’impresa e sul management della gestione dell’innovazione stanno facendo crescere la sensibilità anche grazie alla particolare situazione vissuta in questo periodo.
Negli scorsi giorni si è concluso il primo Innovation Management Forum italiano: con quali riscontri?
Dal punto di vista di partecipazione i riscontri sono stati molto buoni. Hanno aderito professionisti con grande esperienza di gestione dell’innovazione e che lavorano all’interno di aziende molto importanti per il nostro tessuto economico. Abbiamo avuto circa 250 partecipanti per l’evento e anche al di là dei numeri i riscontri sono stati buoni, nel senso che è emersa tutta l’attualità della nostra proposta. Serviva perché è indispensabile sviluppare la cultura di questi paradigmi attraverso un momento istituzionale.
Infine, dal punto di vista della gestione dell’innovazione, cosa possiamo imparare da quanto avvenuto con la pandemia e quali opportunità possiamo cogliere per favorire la ripartenza?
Le aziende che sono riuscite a cogliere le opportunità offerte da questo particolare momento avranno in seno la capacità di fare innovazione. Ma questo avverrà perché ci si è strutturati per farla. Chi si sta muovendo in tal senso sarà sicuramente più resiliente e in grado di cogliere fin da subito gli elementi dai quali ripartire. Le opportunità, secondo me, nascono proprio dal percorso che come aziende dobbiamo fare. Serve guardarsi dentro, guardarsi all’esterno e concretizzare l’orientamento strategico, per capire quali sono i propri obiettivi di business e come l’innovazione possa servire questi obiettivi. Proprio questo rappresenta il primo passo per capire quali opportunità cogliere dalla crisi pandemica, senza dimenticare che oggi a favorire la ripartenza ci sono anche un mare di agevolazioni alle quali le aziende adeguatamente preparate possono fare ricorso.