Per la serie BlastingTalks, intervistiamo il direttore generale di CETMA, Luigi Barone. Il centro di ricerche europeo di tecnologie, design e materiali (CETMA), è un'organizzazione di ricerca e tecnologia (RTO) con sede a Brindisi. Svolge da oltre 20 anni attività di ricerca applicata, sviluppo sperimentale e trasferimento tecnologico nel settore dei materiali avanzati, dell'ICT e dello sviluppo di prodotto con attività esterna senza scopo di lucro.

Blasting Talks è una serie di interviste esclusive con business e opinion leader nazionali e internazionali per capire come la pandemia di coronavirus abbia accelerato il processo di digitalizzazione e come le aziende stiano rispondendo a questi cambiamenti epocali.

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Iniziamo da CETMA: può spiegare quali sono i compiti chiave portati avanti dalla vostra organizzazione?

Noi siamo il “Fraunhofer del Salento”. Gli istituti Fraunhofer sono ritenuti rilevanti per l’innovazione: sono un’organizzazione privata, no profit, di circa 80 centri di ricerca applicata distribuiti in tutta la Germania che offrono servizi tecnologici e di ricerca alle imprese. Tutti gli utili sono reinvestiti in nuove attività di ricerca e di formazione. Ebbene noi, da oltre 20 anni, svolgiamo le medesime funzioni. Non a caso entrambi siamo membri di EARTO, l’associazione europea delle organizzazioni di ricerca e tecnologia.

Rispetto ai nostri cugini tedeschi però, finanziati in maniera incondizionata per il 33% del loro budget, in Italia noi non godiamo di alcun sostegno.

Entrando nello specifico, può raccontarci alcuni degli ultimi progetti sui quali state lavorando?

Con i progetti sui materiali compositi ne stiamo rivoluzionando le tecniche di lavorazione per renderli più economici e facilitarne l’utilizzo in settori diversi da quello aeronautico o sportivo (che sono meno sensibili al prezzo).

Siamo molto attivi anche sui materiali riciclati: progetti significativi sono stati quelli per il recupero della plastica dai pannolini usati e per la realizzazione di nuovi edifici utilizzando solo gli scarti di demolizione dell’edilizia. Nel campo delle tecnologie digitali, sviluppiamo applicazioni per innovare i processi agricoli utilizzando tecnologie come Image processing e Intelligenza Artificiale per ottimizzare i consumi idrici e di fertilizzanti.

Con la Realtà Aumentata, invece, stiamo lavorando per sviluppare “specchi virtuali” fruibili via web in modo che i clienti di aziende e-commerce possano “indossare” gli articoli standosene comodamente a casa prima di ordinarli.

Cosa significa fare innovazione oggi in Italia e qual è il reale spazio di sviluppo sul nostro territorio per chi si occupa di tecnologia?

In Italia, per un’organizzazione come la nostra che fa innovazione per lo sviluppo del territorio, teoricamente esisterebbero molti spazi. Praticamente però, senza un sistema di sostegno come negli altri Paesi, questi spazi si riducono molto. In Italia, le risorse e l’organizzazione dei Ministeri che dovrebbero occuparsi di coordinare, gestire e sostenere il sistema nazionale di ricerca e innovazione sono scarse e poco adeguate alle caratteristiche specifiche del sistema.

Le agevolazioni sono episodiche, rapsodiche, variabili e non esiste una visione di insieme. Nuove iniziative e nuove organizzazioni (private), vengono generate ignorando quanto fatto prima, e questo accade anche con il nuovo PNRR. Non esiste un regime di agevolazioni stabile che permetterebbe alle organizzazioni di svilupparsi e di pianificare a medio-lungo termine (come è necessario in questo campo). In 40 anni sono state create non meno di 400 organizzazioni per la Ricerca e l’innovazione tecnologica, di queste solo il 10% stimo che sia riuscita a sopravvivere. Un elemento di riflessione: quando i Fraunhofer avevano 10 anni, il loro personale e il loro budget era molto vicino a quello del CETMA alla stessa età; dopo altri 10 anni per i cugini tedeschi budget e personale era decuplicato, per noi invece si è dovuto fermare, a conferma di quanto sia importante il riconoscimento di un regime di agevolazione.

Quali sono le principali sfide che è necessario affrontare per garantire un reale trasferimento tecnologico da un’organizzazione di ricerca come la vostra al mondo del business privato?

Nel nostro Paese il sistema produttivo è fatto al 95% da micro e piccole imprese che non dispongono internamente di quelle funzioni necessarie per avviare processi di innovazione tecnologica. A monte della collaborazione, è necessario farsi carico delle funzioni di programmazione, pianificazione, elaborazione progettuale, fundraising; in parallelo, oltre alla consulenza tecnologica, è necessario assisterle nella gestione progettuale e nella gestione dei subfornitori; a valle, si tratta di mettere a punto eventuali prototipi o processi, di assistenza alla pre-industrializzazione, di comunicazione e promozione, di selezione di partner e subfornitori, di ricerca di ulteriori opportunità di finanziamento.

Si tratta quindi di attività che sono molto spesso trascurate (anche perché non ci sono agevolazioni pubbliche per questo tipo di servizi), ma sono quelle che determinano il successo della collaborazione.

Guardando al lungo termine, può raccontarci la sua visione rispetto a quale sarà l’influenza delle nuove tecnologie legate allo sviluppo dei materiali compositi nella vita quotidiana delle persone?

I compositi hanno la caratteristica di essere leggeri e resistenti. Nei trasporti questi saranno sempre più importanti per favorirne l’elettrificazione perché la leggerezza aumenta l’autonomia delle batterie. In un futuro non lontano saranno inoltre importanti per sviluppare auto volanti.

Tra i vostri ambiti operativi c’è anche l’attività di formazione: in che modo interpretate questo compito?

L’attività di ricerca può essere vista come la più elevata attività di formazione. Noi abbiamo sempre privilegiato la formazione on the job: nei nostri laboratori sono passati circa cinquecento giovani (generalmente laureati) che hanno trovato l’opportunità di specializzarsi su tecnologie avanzate che ne hanno favorito un’occupazione stabile da noi, presso i nostri soci o in aziende del territorio.

Qual è stato per voi l’impatto del coronavirus e cosa possiamo imparare, dal suo peculiare punto di osservazione, da questa pandemia?

Una parte consistente delle nostre attività è costituita da servizi di innovazione erogati alle imprese, e molte di queste hanno rinviato, se non addirittura annullato, i loro investimenti in innovazione.

La pandemia ci ha mostrato quanto sia fragile la nostra società e quanto sia importante essere tecnologicamente preparati per poter superare le avversità. È necessario ripensare ai modelli di sviluppo secondo una logica di diversificazione equilibrata e di auto-sostenibilità delle diverse comunità. In questo la tecnologia ed organizzazioni come la nostra possono contribuire molto allo sviluppo dei territori.