Per la serie BlastingTalks intervistiamo Katia Scannavini, vice segretaria generale ActionAid Italia. ActionAid è un’organizzazione internazionale indipendente che lavora in Italia dal 1989, con programmi di sostegno a distanza e progetti a supporto dei bambini, delle donne e delle famiglie delle comunità in cui opera.
Blasting Talks è una serie di interviste esclusive con business e opinion leader nazionali e internazionali per capire come la pandemia di coronavirus abbia accelerato il processo di digitalizzazione e come le aziende stiano rispondendo a questi cambiamenti epocali.
Leggi le altre interviste della serie sul canale BlastingTalks Italia.
Partiamo raccontando ai lettori la vostra missione: può spiegare di cosa vi occupate e quali valori cercate di perseguire con la vostra attività?
ActionAid è un’organizzazione internazionale che lavora in più di 45 Paesi nel mondo. Persegue la possibilità di partecipare alla costruzione di un mondo più equo e più giusto. Abbiamo queste due aspirazioni molti forti e lavoriamo muovendoci su principi e valori che per noi sono fondamentali. In particolare, ne abbiamo sei che seguiamo con molta attenzione. Siamo un’organizzazione indipendente, liberi da ogni credo religioso e associazione politica. Crediamo nel coraggio, perché per voler trasformare il mondo e renderlo più equo e giusto ci vuole anche la possibilità di assumere dei rischi.
Ed è necessario essere anche un po’ pionieristici.
E per quanto concerne gli altri valori?
Crediamo molto nel valore dell’integrità, nell’onestà e nella trasparenza. Siamo anche un‘organizzazione accountable: lavoriamo per la trasparenza e la partecipazione. Altri elementi per noi essenziali sono l’empatia, perché a nostro avviso è fondamentale mettere al centro le persone e le collettività.
Poi la solidarietà, e la intendiamo come una pratica che mette al centro i diritti sociali e le condizioni basilari per vivere una vita di qualità. E poi l’ultimo valore tra i sei fondamentali è l’inclusione, perché crediamo nell’accoglienza come valore da anteporre a tutte le chiusure nel discorso pubblico. E questo rispetto non soltanto ad alcuni temi più attuali come l’accoglienza, ma anche rispetto alle nuove idee e proposte.
Con l’obiettivo di avere un mondo che si va a costruire attraverso le opportunità che le differenze portano in sé. D’altra parte, come associazione facciamo esplicito riferimento alla Carta Internazionale dei Diritti.
Quali sono gli altri ambiti d'intervento dei quali vi occupate?
Lavoriamo su tre pilastri fondamentali. Sui diritti, sulla redistribuzione della ricchezza e sulla resilienza. Quando parliamo di diritti ci siamo specializzati per operare, anche in coordinamento con altre organizzazioni, su alcuni aspetti fondamentali. Il primo è il diritto a una vita senza violenza, con particolare attenzione a quella contro le donne. Poi lavoriamo sull’inclusione sociale e sul diritto di vivere in una società inclusiva.
Con attenzione a tutte le minoranze che vivono in condizioni difficili e in particolare con i cittadini migranti. Rispetto alla redistribuzione, vogliamo poter distribuire le opportunità tra le persone, contrastando ogni forma di discriminazione e di povertà. Povertà non solo economica, ma anche alimentare, educativa e da tanti altri punti di vista. A livello globale agiamo contro ogni forma di disuguaglianza. Contro pregiudizi, stereotipi e per una maggiore conoscenza, per essere consapevoli dei propri diritti. Infine, rispetto al concetto di resilienza lavoriamo in modo particolare e diverso, perché agiamo sulla resilienza politica e sociale. Andiamo a costruire, rafforzare e sviluppare tutte le comunità, contrastando così il restringimento degli spazi sociali.
Può fare degli esempi pratici?
Agiamo nelle comunità a livello globale affinché prendano consapevolezza di ciò che vivono in modo autonomo e per rivendicare i propri diritti. Ma anche in Italia. Un esempio specifico: i progetti portati avanti nelle zone italiane terremotate. Di solito quando capita un evento così terribile si interviene nella prima fase di emergenza. ActionAid in realtà rimane in questi territori nel lungo termine. Lavoriamo ad esempio a L’Aquila e nelle aree interne, perché quello che facciamo dopo l’emergenza è di costruire con le comunità locali delle attività, affinché diventino protagoniste delle rivendicazioni dei propri diritti. Si pensi alla costruzione di una nuova scuola, che ha visto partecipare tutta la cittadinanza.
Operiamo quindi trasversalmente su ogni ambito e lavoriamo su tre assi principali. Sulle politiche, affinché le istituzioni abbiano consapevolezza e opportunità d'interfacciarsi con la cittadinanza e il terzo settore. Sull’empowerment delle persone e sulla loro consapevolezza, per migliorare e trasformare il mondo. E infine sulla sensibilizzazione, per partecipare all’idea che il mondo può essere retto anche attraverso l’uguaglianza e senza le diverse forme di discriminazione.
Come funziona a livello pratico il modello di adozione a distanza che proponete? Può fare degli esempi pratici rispetto ai progetti che state seguendo in questo momento?
Innanzitutto mi preme molto evidenziare che quando si adotta a distanza un bambino o una bambina con ActionAid, si adotta a distanza una comunità.
I nostri sostenitori si dedicano al bambino o alla bambina e ActionAid si dedica alla comunità, garantendo che il sostegno abbia un impatto duraturo: l’esperienza ci dimostra che se si interviene solo sul singolo, ma lo si lascia vivere in una comunità senza sostegni, non si va alla radice del problema e si crea solo un palliativo per un certo periodo di tempo.
Avete quindi una visione d’insieme che si accompagna a quella dell’intervento mirato?
Rafforziamo le comunità e curiamo i bambini in ogni loro necessità. Con l’idea che l’intervento non si esaurisca attraverso la singola donazione. Ecco perché, per quanto ci riguarda, il sostegno a distanza è centrale. Con questo strumento sosteniamo tutte le attività evidenziate in precedenza.
Facciamo operazioni collegate di raccolta fondi, che ci permettono, ad esempio, di costruire una scuola e di fare altri progetti. Avviamo piani affinché le comunità possano essere più consapevoli dei diritti dei minori e dei bambini, della necessità di scolarizzazione e così facendo le diverse iniziative si incastrano tra di loro e vanno a integrare il tessuto sociale.
Il Coronavirus ha cambiato il vostro modo di operare?
Il coronavirus è una situazione pandemica a livello globale ed ha sconvolto tutto il mondo. Ma noi siamo un’organizzazione che si confronta in tutto il mondo con le emergenze. Per questo motivo, sappiamo lavorare e adattarci a contesti straordinari, anche in modo immediato. Vivere una pandemia è sconvolgente, teniamo presente che in in alcune zone dell’Africa così come in altri Paesi più fragile si vivono spesso epidemie gravi e letali, che segnano le vite delle persone e dei contesti.
Possiamo quindi parlare di un fenomeno che ha spinto le persone verso una maggiore consapevolezza?
Abbiamo reclamato, anche rispetto a governi locali, l’idea che lavorare in stato di emergenza non precluda la partecipazione: la trasparenza e il coinvolgimento della cittadinanza sono strumenti essenziali, un bene comune da non mortificare. Anche in Italia abbiamo assistito a una centralizzazione senza partecipazione: tutto si è ridotto a una comunicazione avvenuta dall’alto al basso. Non deve funzionare così.
Quali difficoltà avete incontrato?
Certamente, con quello che è avvenuto, molti progetti sono stati rallentati. Noi per primi non siamo potuti scendere fisicamente in campo come in precedenza.
Ma ci ha salvato la forza di un rigoroso approccio metodologico che abbiamo portato avanti negli anni. Noi non lavoriamo con espatriati: non abbiamo italiani che lavorano nei paesi nei quali siamo presenti. Pensiamo, infatti, che siano le persone locali a dover conciliare il know how locale con quello condiviso a livello internazionale dalla nostra organizzazione. Questo ci ha permesso di far sì che nessuno dovesse rientrare in Italia.
Ci sono state conseguenze dirette sulle pratiche di adozione?
È stato un periodo particolare. Non abbiamo avuto abbandoni da chi ci sostiene, ma è stato più complicato raggiungere nuovi donatori, ad esempio non potendo più essere nelle strade a fare conoscere la nostra organizzazione, è diventato più complesso allargare la nostra comunità dei sostenitori e delle sostenitrici.
Abbiamo, quindi, lavorato utilizzando maggiormente il digitale, proponendo il nostro sostegno a distanza, ad esempio, attraverso le piattaforme social.
Cosa può fare di concreto chi è interessato a sostenere le vostre attività?
Si può partecipare in tanti modi diversi. Da una parte, per chi ha piacere e crede nei progetti a lungo termine, sostenere un bambino o una bambina a distanza, che, come dicevo, grazie al nostro approccio significa sostenere anche una comunità e garantire cambiamenti positivi sostenibili. È un percorso a medio e lungo termine. Ci si può unire, poi, ad ActionAid sostenendo dei progetti specifici. Quindi aderendo a opportunità di collaborazione tramite donazioni per specifici progetti in Italia come all’estero.
O ancora, chi vuole può unirsi e diventare un attivista, cioè un volontario che farà attività specifiche, oppure che si confronterà a livello nazionale per sostenerci nelle varie attività quotidiane.
Quali spunti possiamo trovare nel particolare momento che stiamo vivendo e cosa possiamo apprendere dalla situazione per guardare al futuro con maggiore fiducia?
L’aver messo a fuoco (e me lo auguro) quanto sia importante lavorare a una costruzione sociale solidale e collaborativa. Durante la pandemia ci siamo resi conto che individualmente si può fare ben poco e che le persone in realtà nascono per avere una capacità di socializzazione molto forte. Ci siamo anche resi conto che le lenti prospettiche con cui abbiamo portato avanti il mondo non si sono rispecchiate in valori come l’uguaglianza o la giustizia. La pratica quotidiana del materialismo ci ha portato verso la solitudine degli individui e la rincorsa ad avere sempre di più, anche a danno degli altri. Forse lo spunto principale è capire che viviamo tutti sotto lo stesso destino. Se lo teniamo a mente, possiamo comprendere che ciò a cui dovremmo puntare è il benessere di questo mondo e di tutte le creature che ci vivono.