Chi ritiene che il risultato del referendum sull’uscita del Regno Unito dalla UE abbia effetto soltanto nell’ambito dei mercati finanziari commette un grosso errore. Non per nulla, i più importanti leader europei, infatti, si stanno muovendo sul piano diplomatico: per ottenere vantaggi a favore del proprio paese, in ambito economico sì, ma soprattutto in quello politico.
Il paese che potrebbe ottenere il maggior vantaggio politico dalla Brexit è sicuramente la Francia, in quanto con l’uscita del Regno Unito resta l’unica potenza militare in possesso dell’arma atomica nella comunità economica, oltre che di un esercito dotato di armamenti moderni ed efficienti.
Ciò le consentirebbe di porsi come “guida” degli Stati europei della Nato e riferimento europeo di interlocuzione con la Russia e il Medio Oriente, cioè con le maggiori fonti di approvvigionamento energetico del Vecchio continente.
Per questo Hollande è il maggior sostenitore di un’attuazione rapida della Brexit e dell’immediata apertura dei negoziati con l’UK. A poche ore dal risultato del referendum britannico, il Presidente francese ha proposto al premier italiano Matteo Renzi il suo grande “progetto per la Difesa”, in modo da “rafforzare il pilastro europeo della NATO” e ipotizzando un incremento del 2% delle spese militari europee.
Renzi, che ha compreso di esser diventato, tutt’a un tratto, l’alleato più ambito dell’Eliseo, ha però chiesto in cambio a Hollande l’appoggio alla proposta italiana del Migrant Compact, comprensiva dell’emissione di “eurobond” tanto poco graditi a Berlino, nonché il progressivo allentamento dei vincoli che frenano la crescita economica europea e dell’Italia, in particolare quelli bancari e del Fiscal Compact.
La Germania, tuttavia, non può vedere di buon occhio una possibile leadership europea della Francia sul piano diplomatico, sostenuta da una “force de frappe” di gollista memoria, in sostituzione dell’attuale leadership tedesca basata sulla forza economica. Questo il succo del colloquio che si è tenuto a Berlino, 24 ore dopo l’incontro di Parigi tra Hollande e Renzi, a cui la Merkel ha invitato anche il premier italiano, ritenendo nociva per il proprio paese e – probabilmente – ormai improponibile, la riesumazione di un asse franco-tedesco nella UE.
Ciò consentirebbe all’Italia di svolgere un ruolo di ago della bilancia diplomatico tra le due posizioni.
Nelle sue dichiarazioni, Merkel ha sostenuto che, anche con la Brexit, la Gran Bretagna rimane pur sempre un partner importante NATO e che, comunque, per l’attuazione della sua uscita dalla UE, bisogna rispettare i tempi dettati dai trattati, senza alcuna forzatura.
Di fronte al Bundestag, tuttavia, la cancelliera è stata meno tenera con Londra, ammonendola che non potrà scegliere per sé “le ciliegine dalla torta”, lasciando agli ex partner tutte le conseguenze sgradevoli della “secessione”.
Contrarietà della Germania a una ridefinizione dei rapporti militari in ambito NATO, dunque, ma fermezza sul piano economico. Va detto, comunque, che a favore della posizione “muscolare” di Hollande si colloca un oggettivo disimpegno degli Stati Uniti dalle problematiche politico-militari del Continente, soprattutto per quanto riguarda le questioni mediterranee ed euro-africane.
A favore della fermezza nei confronti di Londra, connessa con la rapidità della conclusione delle procedure di divorzio, sembra essere la posizione, invece, del Presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker, espressa turbolentemente nell’aula del Parlamento europeo.
Una posizione che fa più gioco a Parigi che a Berlino. Fatto sta che, dopo le esternazioni di Juncker, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione con la quale si esorta la Gran Bretagna ad avviare quanto prima le procedure di recesso dall’Unione e, contemporaneamente, Renzi ha incassato “flessibilità” sulle procedure da adottarsi in caso di sofferenza (già in atto) del sistema bancario italiano.