In Germania è guerra aperta a chi diffonde "notizie false, esagerate e tendenziose", le cosiddette "bufale" o "Fake News". Mentre in Italia il ddl presentato dalla senatrice Adele Gambaro - che prevede multe a chi diffonde notizie false su social o siti che non rientrano nel giornalismo online - è ancora in fase di stallo, in Germania il governo federale ha dato il via libera a quella che si preannuncia essere la più severa legge anti-fake news del mondo.

Il provvedimento

Il disegno di legge annunciato nelle scorse settimane da Heiko Maas (Spd) è stato arricchito di due articoli che costringeranno i social media a "eliminare" velocemente le pagine che condividono o danno "visibilità" a contenuti pedopornografici o che incitino al terrorismo.

Nei casi più eclatanti - ad esempio, quelli di interventi negazionisti rispetto ai campi di concentramento, che in Germania sono vietati - Facebook e simili saranno costretti a cancellarli entro 24 ore o al massimo in una settimana, inoltre dovranno indicare un responsabile tedesco per i siti, per rendere più semplici e veloci i reclami. Nel caso in cui queste segnalazioni non verranno prese tempestivamente in considerazione e i contenuti non verranno subito cancellati, i social media come Facebook, Twitter o siti come Youtube - ovvero i colossi di internet - rischieranno multe fino a 50milioni di euro, mentre i responsabili dei siti fino a 5milioni.

Le proteste

Come per il ddl Gambaro, anche nel caso tedesco sono arrivate le proteste da parte dell'associazione degli editori tedeschi (Verband deutscher Zeitschriftenverleger) che ha gridato alla censura.

Accuse rispedite subito al mittente da parte del ministro socialdemocratico che ha replicato come che la libertà d'opinione finisca là dove comincia la calunnia. Opinione simile a quella espressa dalla senatrice italiana Adele Gambaro, che aveva così difeso il suo progetto di legge: "Il provvedimento è un primo passo per aprire un dibattito più ampio che non riguardi solo il mondo politico, ma tutti gli attori della società civile. Non vogliamo mettere un bavaglio al web, né fare gli sceriffi, ma normare quello che è diffuso e non ha regole".