Sono diversi gli articoli del Ddl Scuola sui quali si può istruire un ricorso alla Corte Costituzionale che ci consentono di respingere in toto l'intera riforma scolastica, per la quale i docenti incroceranno le braccia il 5 maggio. Le azioni di protesta della intera categoria del personale docente mirano a richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica sui motivi dell'agitazione che l'esecutivo di governo dichiara di non comprendere. Bisogna convincere Renzi ad investire sulla scuola evitando di disperdere risorse utili mediante i finanziamenti che il Ddl scuola riserva alle paritarie.

Gli sgravi concessi, peraltro giudicati insufficienti dagli stessi enti privati che ne beneficerebbero, dovrebbero essere destinati alle scuole pubbliche. E del resto, come da una rapida analisi dell'articolo 33 della Costituzione disponibile su senato.it, viene espressamente previsto che lo Stato non si debba sobbarcare alcun onere in favore degli istituti privati. Ma questo è soltanto uno dei limiti di una riforma scolastica totalmente inaccettabile perché contrasta col dettato costituzionale.

I punti contestati

L'articolo 17 del Ddl che concede sgravi alle scuole paritarie appare dunque in netto contrasto rispetto a quanto previsto dai nostri padri costituenti. Ma non è certamente l'unico motivo di dissenso perché anche la disciplina dei fondi di istituto, l'albo della mobilità territoriale e la chiamata diretta da parte dei dirigenti scolastici (vedasi artt.

3,4,7,9,11 del Ddl), contengono principi di incostituzionalità. In proposito si può consultare quanto descritto su flccgil.it, dove l'analisi condotta lascia intravedere un altro contrasto con il richiamato articolo 33 della Costituzione sulla libertà dell'insegnamento dell'arte e della scienza. L'analisi degli articoli contestati non finisce qui.

Colpevoli amnesie

Ci si dimentica il personale Ata della scuola ma soprattutto, è questo è più grave, della sentenza della Corte di Giustizia Europea di Lussemburgo del 26 novembre. La stessa contestava allo Stato italiano la reiterazione dei contratti a termine di tutto il personale della scuola, richiamando i tribunali italiani ad attenersi alla direttiva comunitaria numero 70/1999 per la quale l'unica forma di lavoro stabile nella P.A.

è il contratto di lavoro a tempo indeterminato. Nel tentativo di aggirare i ricorsi per la violazione di questa normativa è stato introdotto l'articolo 12 nel Ddl scuola che impedisce di fare supplenze a quei docenti che abbiano raggiunto i 36 mesi di servizio, ma in questo modo si contravviene all'articolo 1 della Costituzione, il più importante di tutti perché viene impedito di fatto di lavorare.