Numeri, benedetti o maledetti. Sono sempre suscettibili di interpretazioni diverse, in politica, e divisibili in base alla necessità di sostenere l’una o l’altra parte in gioco. Il Governo dice la sua, le statistiche e le opposizioni generalmente altro. Succede anche a proposito di Jobs Act e delle ultime rilevazioni Inps circa il calo delle assunzioni in italia, dove il tasso di disoccupazione resta all’11,4%.

Le stime sul mercato del Lavoro nel 2016

Con il termine Jobs Act si intendono una serie di provvedimenti legislativi in materia di lavoro varati dal governo Renzi tra il 2014 e il 2015.

Vi rientrano, tra gli altri, l’introduzione del contratto a tutele crescenti e le connesse modifiche all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Il 2015 ha registrato una notevole crescita delle assunzioni, agevolata dagli sgravi fiscali di cui hanno potuto beneficiare i datori di lavoro, e che da quest’anno sono stati sensibilmente ridotti. Così, le prime otto mensilità del 2016 fanno registrare, secondo l’analisi dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps, quanto segue: 8,5% di assunzioni in meno rispetto alla stessa finestra di tempo del 2015; quasi il 33% in meno di contratti a tempo indeterminato stipulati; crescita esponenziale dei voucher (i buoni lavoro del valore nominale di 10 euro), ne sono stati venduti quasi 97 milioni; è aumentato anche il numero dei licenziamenti per “giusta causa”, sono oltre il 28% in più dei primi otto mesi dell’anno precedente.

A quest’ultimo proposito, il ministro del Lavoro Poletti fa notare come siano calati i livelli di dimissioni in bianco, ma alla fine il risultato è lo stesso, e cioè che si resta comunque senza lavoro. Per tutto questo, mentre Renzi se la spassa alla Casa Bianca e riceve da Obama l’endorsement tattico per il Sì alla sua riforma costituzionale, in Italia c’è già chi ha ribattezzato quella sul lavoro: da Jobs Act a “Flops Act”.

La “buona scuola” e l’alternanza con il lavoro: i numeri

Per Stefania Giannini, ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca l’alternanza scuola – lavoro promossa dal governo è uno strumento che permette all’Italia di affrontare al contempo “una sfida economica, sociale e culturale”, con lo scopo di combattere la disoccupazione giovanile “il nemico più temibile in Europa”.

Peccato che il tasso di disoccupazione giovanile, in Italia, si attesti (secondo l’ultima rilevazione Istat relativa ad agosto 2016) al 38,8%, mentre ci sono ancora 2 milioni di “Neet”, ovvero di giovani che né studiano, né lavorano. Il Jobs Act, per queste fasce di età, non sembra produrre i risultati sperati. Detto questo, la partecipazione al modello di alternanza tra scuola e lavoro è cresciuta notevolmente: +137%, con livello di coinvolgimento degli istituti scolastici italiani superiore al 90%. La “buona scuola” ha introdotto un totale di trecento ore di alternanza nel corso del triennio, per permettere agli studenti di fare esperienze professionali presso enti pubblici, imprese o associazioni.

A questi numeri, un’indagine della Cgil ha replicato evidenziando il disequilibrio esistente tra Nord e Sud nella partecipazione ai percorsi di alternanza, nei quali si registrano casi di studenti che vivono esperienze non qualificanti.