La settimana che si sta concludendo è stata dominata da due argomenti su tutti: gli emendamenti alle legge di stabilità e il rinnovo del contratto della Pubblica Amministrazione. Alla vigilia dell'appuntamento elettorale di domenica prossima, e dunque sul filo di lana, i sindacati principali, CGIL, CISL e UIL, trovano l'accordo a Palazzo Vidoni col ministro Marianna Madia per l'aumento degli stipendi degli insegnanti. Il contratto è stato rinnovato finalmente dopo 7 anni di blocchi ma che c'è chi dice che si tratti solo di un accordo elettorale teso a strappare consenso al Sì del prossimo referendum.
Accordo elettorale
A dire che l'aumento degli stipendi dei docenti è solo un escamotage per trovare voti al referendum costituzionale è il sindacato USB. A giustificazione di questa convinzione portano la tesi che si è preferito trattare solo con le tre principali sigle sindacali di cui sopra perché rappresentano un bacino di utenza utile per il voto di domenica prossima. Molti insegnanti di ruolo sono iscritti con loro. Dunque si tratterebbe solamente di un accordo di tipo politico in quanto gli aumenti degli stipendi sono calcolati su base media. Gli 85 euro infatti, calcolati oltre a tutto al lordo, saranno ripartiti con modalità diverse a seconda dei redditi.
La chiave di lettura
L'USB non ci sta e si sfila da questo accordo, ricordando che ancora non c'è nessun contratto firmato perché si dovrà passare prima per l'ARAN.
Sarà lì che verrà data battaglia perché esiste ancora una normativa generale che regola la contrattazione. Le richieste portate avanti dall'USB sono aumenti di stipendio per almeno 300 euro e non la miseria degli 85 euro con i quali, usando i lavoratori della scuola, si cerca consenso elettorale e si introduce il concetto di “welfare aziendale.
E' questa la chiave di lettura offerta dal sindacato di base per spiegare la velocità con cui è stato trovato l'accordo, convinzione alla quale segue l'auspicio forte che gli insegnanti non ci caschino e domenica sappiano rispondere col NO.