Continuano le interviste ai vari segretari dei più importanti sindacati italiani. Ecco l'intervista a Paolo Capone:
L’UGL ha vissuto in questi ultimi anni una forte crisi interna. Con il suo avvento le cose hanno già preso una direzione ben più definita?
Da due anni a questa parte siamo fortemente impegnati, a partire dalla Confederazione passando per le Categorie fino ad arrivare ai rappresentanti sul Territorio, a portare avanti – come, se non di più, abbiamo sempre fatto - la nostra sigla con onore e senso di responsabilità. Oggi è diventato più difficile farlo, perché non è un buon momento per il sindacato.
È evidente il tentativo di discreditare la sua funzione sociale ben oltre i suoi demeriti. Noi dell’Ugl, siamo abituati a ‘combattere’, non è mai stato facile essere sindacalisti nell’Ugl e ancora prima nella Cisnal, nel nostro dna abbiamo un sano e forte spirito di sopravvivenza, perché siamo sempre stati un sindacato ‘scomodo’.
Passiamo al mondo del Lavoro: le varie riforme del lavoro hanno contribuito allo smembramento del nostro tessuto sociale. Quali sono le sue considerazioni in merito?
Il Jobs Act ha fallito precarizzando il lavoro senza alcuna contropartita. La disoccupazione è cresciuta e grazie all'eliminazione dell'articolo 18 sono state indebolite le già precarie posizioni dei lavoratori.
Il governo Renzi, invece di rottamare il vecchio così come dichiarava di voler fare, si è posto in perfetta continuità con le riforme di chi lo ha preceduto, quindi del governo Monti e quindi della Fornero. Anzi, se possibile, ha fatto di peggio.
Ritiene che i vari fenomeni appena indicati nella domanda precedente siano da attribuire alla troppa flessibilità ed accondiscendenza dei sindacati durante le contrattazioni con imprese e politici?
No, non credo. Al di là del fatto che le posizioni delle singole organizzazioni non sempre coincidono tra loro - e che questo può aver indebolito le ragioni e la forza di chi si è opposto alle riforme del governo -, in ogni caso le sigle contrarie al Jobs Act hanno dichiarato apertamente ciò che non andava, arrivando ad uno sciopero generale.
Anche in occasione delle tante audizioni svolte in Parlamento – per lungo tempo uniche occasioni di confronto - tutte le organizzazioni sindacali, sebbene con notazioni diverse, hanno prodotto una ampia documentazione, indicando ciò che andava bene e ciò che necessitava di correzione. Di confronto vero ce n’è stato pochissimo, se non negli ultimi tempi, quando cioè le imminenti sfide elettorali esigevano di rastrellare il maggior consenso possibile.
Siamo abituati dalla nascita della Repubblica alle dichiarazioni fin troppo positive di Ministri e parlamentari sulle stime del Pil italiano e sul tasso di disoccupazione che vengono quotidianamente smentite da i vari fatti di cronaca (è di ieri la notizia di 500 licenziamenti di coloro che lavorano presso il colosso Carrefour ndr).
Un paradosso all’italiana non le pare?
Non è un paradosso, purtroppo è il frutto della grande importanza che oggi si attribuisce alla forma piuttosto che ai contenuti. Siamo nell’era della comunicazione, anzi della narrazione, utilizzata sapientemente, a detta di tutti, soprattutto dall’ex presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Ognuno si inventa la sua nonostante sia smentita dall’evidenza dei fatti.
Al fine di salvaguardare i lavoratori italiani, tenderà la mano a CGIL, CISL e UIL durante le prossime trattative con il governo?
Se il governo Gentiloni decide di aprire il dialogo e di farlo con tutti e se le sue proposte saranno davvero a vantaggio dei lavoratori non avremmo alcun problema a sostenerle insieme alle altre organizzazioni sindacali. Spesso i sindacati, quando sono in gioco questioni dirimenti o trattative difficili, fanno fronte comune. Non sarebbe una novità.