Le ultime parole del Ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, lasciano trapelare ottimismo circa la risoluzione della ormai vecchia storia del rinnovo del contratto degli statali. Una storia che dura dal 2015, da quando la Corte Costituzionale ha emanato sentenza di incostituzionalità contro il blocco della perequazione per i dipendenti pubblici. Una sentenza che dichiarò illegittimo il blocco degli scatti per l’inflazione delle buste paga dei lavoratori statali, voluto da Governo Monti, ma che continuò un trend avviato da diversi anni.

Infatti, sono ormai 8 anni che i lavoratori sono in attesa del rinnovo del contratto e, beffa nella beffa, anche la relativa vacanza contrattuale non è stata elargita. I dipendenti ed i loro rappresentanti sindacali sottolineano il netto calo del potere di acquisto del loro salario, dovuto proprio alla mancata indicizzazione degli stipendi al sopraggiunto tasso di inflazione di tutti questi anni. il rinnovo però sembra alle porte, con la Madia che ha confermato la sua speranza di chiudere la partita entro ottobre.

Il nuovo summit

Il Ministro ha incaricato l’Aran, l’Agenzia per la contrattazione, di discutere con i sindacati per trovare un accordo sul rinnovo. La cosiddetta piattaforma è già avviata ed in agenda è stato calendarizzato un nuovo incontro il prossimo 19 luglio.

Come riportato dal quotidiano “Il Sole24Ore”, l’incontro sarà incentrato solo sulla Pubblica Amministrazione Centrale, uno dei 4 comparti creati dopo la loro riduzione (erano 11). Ministeri, Agenzie Fiscali ed Enti non economici come sono Inps, Inail o Aci, questi i settori compresi nel comparto. La trattativa mono comparto però, darà indicazioni precise su quello che succederà in questa difficile e delicata fase di rinnovo anche per gli altri 3 comparti, Sanità, Scuola e PA locale.

I nodi, come confermato dal quotidiano, restano sempre gli stessi, con il rischio che gli aumenti cancellino la fruizione del bonus da 80 euro di Renzi per i lavoratori. Si tratterà anche di valutare come distribuire gli aumenti, secondo la direttiva madre che il Governo ha dato all’Aran, come base per la trattativa.

Le cifre

Il Governo ha dato all’Aran l’atto di indirizzo, cioè la linea guida su come intavolare il rinnovo. Poi dovranno essere le parti sociali ad accettarlo, ma grosso modo, la strada è ampiamente tracciata. Il fatto che non piaccia a nessuno è altrettanto vero. Si ripartirà dall’incontro del novembre 2016, quando si stanilì in 85 euro l’aumento lordo medio pro capite. Un aumento che trovò, più o meno, l’accordo dei sindacati che sottoscrissero la bozza di intesa. I soldi disponibili però non bastano e non sono solo i sindacati a ribadirlo. Pochi giorni fa, il Ministro dell’Istruzione Fedeli ha confermato la pochezza delle cifre. Se a questo si aggiungono le altre urgenze, come la riforma delle pensioni e lo sforzo del Governo, per portare a termine la legislatura senza arrivare al voto anticipato, lasciano presagire che il rinnovo, se mai dovesse partire, lo farà solo nel 2018, dopo la prossima Legge di Bilancio.

Nell’incontro del 19 ci si aspetta che escano fuori le cifre vere, senza più ipotesi che lasciano solo dubbi ed incertezze nei lavoratori. La Madia, in una delle sue ultime uscite pubbliche ha confermato l’idea di creare scaglioni di lavoratori in base al reddito, scaglioni che serviranno per erogare gli aumenti in maniera diversa da lavoratore a lavoratore. In sostanza, non tutti i lavoratori avranno diritto allo stesso aumento con il rinnovo che erogherà importi maggiori per i dipendenti con redditi bassi e poco o nulla per chi vanta retribuzioni maggiori. Attesa anche per la definizione di queste fasce distintive tra dipendenti pubblici. Cifre alla mano, servono 5 miliardi di euro per garantire l’operazione 85 euro, soldi che tra ultima Legge di Stabilità e DEF, non ci sono.

In attesa dei futuri stanziamenti, ad oggi, si può ipotizzare che i più “poveri” tra i lavoratori statali, che percepiranno l’aumento più cospicuo, si troveranno massimo 50 euro in più al mese in busta paga. Sempre in base alle cifre disponibili ed alle voci sulle fasce differenziali, per chi supera i 26mila euro annui di stipendio, il rischio serio è che gli venga revocato il bonus di 80 euro di Renzi e per assurdo, si rischierà di percepire meno con il nuovo contratto, rispetto al vecchio.