Continua a crescere il dibattito sull'eventuale applicazione degli adeguamenti all'aspettativa di vita per la determinazione dei requisiti di uscita dal lavoro. Il dibattito si è arricchito di un nuovo intervento da parte del Presidente dell'ISTAT Giorgio Alleva, che è stato ascoltato nella giornata di ieri in audizione presso la Commissione Affari costituzionali della Camera dei Deputati. Secondo il parere tecnico fornito, se non vi saranno nuovi interventi a livello legislativo, l'attuale scenario demografico porterà presto ad un nuovo adeguamento al rialzo nei criteri di accesso al pensionamento.

In particolare, risulteranno necessari 67 anni di età, rispetto all'attuale soglia fissata a 66 anni e 7 mesi. La previsione attende comunque l'ufficializzazione dei nuovi parametri anagrafici di riferimento, attesa per la ripresa dei lavori dopo la pausa estiva. All'Istat spetta la responsabilità di certificare la variazione della speranza di vita, un parametro che viene utilizzato dal Mef e dal MdL per la redazione dei decreti attuativi riguardanti gli aggiornamenti dei criteri previdenziali.

Riforma pensioni: le previsioni al 2051 ed il rischio di uscire dal lavoro a 70 anni

Se nel breve termine la data di pensionamento potrebbe salire fino a 67 anni, nel medio e lungo termine vi è il rischio concreto che i futuri adeguamenti portino ad allontanare sempre più il momento dell'agognata quiescenza.

Prendendo come riferimento le stime fornite dall'Istat alla Camera, i continui scatti biennali dell'AdV porteranno la data di uscita dal lavoro a 67 anni e 3 mesi nel 2021, mentre i successivi adeguamenti sarebbero di almeno altri due mesi a partire dal 2023. Di fatto, ci troveremmo davanti ad uno scenario nel quale la soglia arriverebbe a 69 anni e 9 mesi nel 2051.

Lo scenario è quindi destinato a restare preoccupante per i lavoratori, soprattutto perché in molti vivono situazioni di disagio lavorativo in età avanzata. Tutto ciò, senza considerare chi si trova a perdere il lavoro in età avanzata, con pochissime possibilità di potersi reinserire. D'altra parte, se la pensione di vecchiaia è destinata ad allontanarsi sempre più, anche i parametri dell'uscita anticipata saranno influenzati dagli eventuali adeguamenti all'AdV.

Ecco quindi che per ottenere la quiescenza con il solo criterio contributivo saranno necessari dal 2019 almeno 43 anni e 3 mesi di versamenti (un anno in meno per le donne). Gli unici lavoratori esclusi restano coloro che hanno svolto attività usuranti, per i quali si è scelto di congelare gli adeguamenti in virtù del tipo di lavoro svolto.

Riforma pensioni e FASE 2: la battaglia per il congelamento dell'AdV

Stante la situazione appena delineata, si può ben comprendere per quale motivo il congelamento del parametro dell'AdV sia diventato uno dei temi caldi della discussione politica. Dalla Commissione lavoro alla Camera vi sono stati numerosi interventi in tal senso, ma sono anche gli stessi sindacati ad aver iniziato una vera e propria lotta per la sterilizzazione degli incrementi.

La battaglia sembra destinata ad avere luogo nel confronto tra parti sociali e Governo avviato con la FASE 2 della riforma previdenziale. I rappresentanti dei lavoratori puntano a tradurre il blocco degli incrementi in legge, così come già indicato nel verbale siglato lo scorso settembre 2016. Sulla vicenda si rileva però anche la posizione contraria dell'Inps, che teme un incremento della spesa previdenziale a carico delle future generazioni. Trovare la quadra non appare quindi semplice, anche se resta assolutamente necessario.

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