"La Buona Scuola" è il frutto di un lavoro iniziato nel 2014, che prevede un finanziamento aggiuntivo di 3 miliardi a regime sul capitolo istruzione, un piano straordinario di assunzioni e l'aumento del FIS (Fondo per il Funzionamento delle Istituzioni Scolastiche) di 126 milioni di euro annui dal 2016 al 2021. La riforma, in generale, intende rafforzare l'autonomia scolastica, ovverosia rispondere alle esigenze educative, progettuali e organizzative, concedere maggiore libertà nella gestione degli edifici, della didattica e dei fondi a disposizione di ogni singolo istituto.

Ciò significa che il dirigente scolastico - il preside - provvederà alla chiamata degli insegnanti ritenuti adatti per portare avanti il percorso formativo, gestirà le supplenze fino a dieci giorni, mentre resterà invariata la retribuzione. Avrà, in sostanza, pieni poteri, e questo cambiamento ha, inevitabilmente, scatenato una serie di polemiche verso la riforma.

In questi giorni il ministro dell'Istruzione Valeria Fedeli ha firmato il decreto (riprendendo parzialmente la bozza dell'ex ministra Stefania Giannini, messa da parte in seguito alle dimissioni di Renzi e all'avvento del Governo Gentiloni) che dà il via ad un percorso di sperimentazione della scuola che durerà quattro anni, a partire dall'anno scolastico 2018/2019.

Al momento il progetto coinvolge undici scuole, sei pubbliche e cinque paritarie: cinque al Nord, due al centro e quattro al sud. Gli altri istituti, invece, potranno inviare domanda dall'1 al 30 settembre 2017.

Cosa cambia con la scuola quadriennale?

Analizzando più dettagliatamente il decreto, si può ben comprendere che non ci sono sostanziali modifiche per ciò che concerne gli obiettivi di apprendimento e delle competenze previste per il quinto anno di corso, né per il diploma finale conseguito dagli alunni.

Per raggiungere tale scopo, sarà necessario attuare una rimodulazione del calendario scolastico: si dovrebbe passare, infatti, dalle 900 ore per cinque anni, a 1.000/1.050 ore per quattro anni.

Niente paura, invece, per gli insegnanti che temono di non riuscire a portare a compimento i loro programmi, né per gli studenti che ovviamente non verranno trascurati, in quanto gli si offrirà una formazione più ricca sia sul piano della didattica tradizionale, sia in merito a nuove iniziative ed attività laboratoriali atte a garantire un miglior inserimento nel mondo del lavoro. Il decreto, inoltre, prevede l'insegnamento di una disciplina interamente in lingua straniera con metodo Clil (la lingua inglese è la più gettonata), e lo sviluppo delle competenze digitali.