L’ultimo summit con i sindacati ha dimostrato la continuità del Governo per quanto riguarda i lavori di riforma previdenziale. La cosiddetta fase 2 di riforma, quella che ha un occhio di riguardo per i giovani, parte proprio dalla pensione di garanzia, una misura di cui tanto si parlava già a fine 2016, quando furono varate la quota 41 per i precoci e l’Ape nelle sue varie versioni. Anche nell’incontro del 30 agosto, l’argomento principale è stato lo stesso, cioè trovare una soluzione per garantire ai giovani di oggi una pensione futura dignitosa.
Una cosa messa a rischio dalle innumerevoli problematiche del lavoro dei giorni nostri e da regole previdenziali molto dure come imposte dalla famigerata riforma Fornero. La Pensioni minima garantita sembra che sia la prima misura che verrà creata per la previdenza italiana. La misura però non è esente da critiche, prime tra tutte quelle che hanno manifestato i sindacati immediatamente dopo l’incontro.
Sistema contributivo l’altro problema?
I giovani di oggi non riescono a racimolare montanti contributivi tali da poter percepire in futuro una pensione di importo accettabile. Soprattutto i giovani che hanno iniziato a lavorare nel sistema contributivo e che percepiranno una pensione proprio con questo sistema di calcolo.
Una pensione erogata in base alla quantità ed al valore dei contributi versati durante la vita lavorativa, con il lavoro di oggi che latita, con la disoccupazione, il lavoro precario, il part time e così via, sarà inevitabilmente di importo basso. Sempre che per gli stessi motivi la pensione non sia per niente concessa. Infatti, in base ai requisiti di accesso alle pensioni che sono necessari oggi, non è detto che proprio per via di tutte le problematiche del lavoro, i giovani riescano a centrarle.
Pensione dignitosa
Proprio per questo il Governo sta varando un provvedimento che tuteli questi soggetti vessati dalla situazione. La pensione minima garantita nasce proprio per tamponare questa falla. L’idea è di far uscire i giovani con un assegno minimo di circa 650-680 euro. Il sistema prevede che venga aumentata la cumulabilità tra assegno sociale e pensione contributiva e che venga alzata la quota dall’attuale 1/3 al 50%.
Un meccanismo che collegando pensione da erogare con l’assegno sociale, comprese naturalmente le integrazioni al minimo e le maggiorazioni, consenta di arrivare alle 600 euro di pensione minima con solo 20 anni di contributi. In pratica se i contributi versati arrivassero a garantire una pensione inferiore alle 500 euro al mese, la pensione minima di garanzia interverrebbe ad adeguarla alle oltre 600 euro di cui parlavamo prima.
Perché critiche?
La volontà del governo è lodevole, come buona appare la misura, o quanto meno l’idea che la spinge. Il problema però è che come al solito la misura prevista sembra monca, o almeno destinata solo ad un certo numero di lavoratori. Infatti, la pensione di garanzia sarebbe accessibile solo per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995, cioè nel sistema contributivo.
Inoltre, l’età pensionabile che dovrebbe essere quella idonea a percepire questa pensione minima, dovrebbe essere 70 anni. Questa è la soglia oggi vigente per la pensione contributiva per chi ha meno di 20 anni di contributi, anche se nell’ordinamento attuale esiste l’assegno sociale a 65 anni e 7 mesi. I sindacati, come riporta l’edizione di ieri del “Fatto quotidiano” hanno contestato questa prima presentazione della misura. Un provvedimento che rischia di tagliare fuori chi anche avendo carriere discontinue e contributi esigui, non ha 20 anni di contributi o ha iniziato a lavorare prima del 1996. Una pensione di garanzia che sempre secondo le sigle sindacali, dovrebbe essere appannaggio di tutti i giovani che oggi sono vessati da crisi del lavoro e problematiche lavorative e previdenziali.