Alla fine del 2016 la percentuale reale di lavoratori disoccupati e sottoccupati ha toccato la cifra record del 23,8%. Circa 5 milioni di sottoccupati. Più del doppio rispetto ai dati ufficiali sulla disoccupazione forniti dall’ISTAT che si attestano sull’11,8%. I contratti a tempo determinato, poi, raggiungono quota 2,8 milioni nel 2017 (come nel 2004). È questa la conclusione a cui sono giunti i tecnici della Fondazione Di Vittorio (parte del sindacato Cgil guidato da Susanna Camusso) che ieri, 7 ottobre, hanno redatto e pubblicato un rapporto dal titolo ‘Record dei contratti a tempo determinato, occupati a livello del 2008, ma con molte meno ore lavorate, crescita del part time involontario, calo del lavoro autonomo’.

La Di Vittorio, in pratica, imputa all’Istat di non tenere conto, nelle sue rilevazioni sulla percentuale di disoccupati in Italia, di tutti quei lavoratori impiegati con il cosiddetto part time involontario, oppure con contratti precari, anche di una sola ora a settimana, considerati a tutti gli effetti come impiegati.

I numeri sula disoccupazione della Fondazione Di Vittorio: il part time

Il dato fondamentale da cui parte il rapporto della Fondazione Di Vittorio è che in Italia, attualmente, ci sono 4,33 milioni di lavoratori impegnati con contratti part time. Meno ore lavorate e buste paga più magre per milioni di persone delle quali ben 2,62 milioni sarebbero disponibili ad essere impiegate a tempo pieno, ma che sono costrette dai propri datori di lavoro ad accontentarsi di un part time.

Un dato aumentato esponenzialmente negli ultimi dieci anni, se si pensa che nel 2008 i contratti part time totali erano 3,42 milioni, dei quali 2,03 milioni volontari e ‘solo’ 1,39 milioni involontari. Numeri drammatici (confermati anche dalla Bce) che, se sommati alla enorme quantità di lavoratori sottoccupati e inattivi disponibili ad un impiego, avrebbero fatto schizzare il tasso di disoccupazione in Italia alla fine del 2016 dall’11,8% ufficiale al già citato 23,8%.

Tre motivi per non festeggiare l’aumento del numero di occupati

Se si prendessero per buoni, come ha fatto il governo Gentiloni, i dati Istat che segnalano in più di 23 milioni il numero degli occupati oggi nel nostro paese (ai livelli pre crisi del 2008), ci sarebbe da esultare. Peccato che questi numeri, segnala la Fondazione Di Vittorio, siano ‘drogati’ per tre ragioni.

La prima è che, a causa dell’arrivo di centinaia di migliaia di immigrati (quasi sempre sotto pagati) è aumentata la percentuale di popolazione in età lavorativa, ma diminuita quella con un lavoro, scesa dal 58,9% del 2008 al 58,2% del 2017. La seconda ragione è la mala pratica, ormai sempre più diffusa, di conteggiare nel numero degli occupati anche coloro i quali abbiano lavorato anche una sola ora durante la settimana in cui vengono svolte le rilevazioni Istat. La terza ragione è che il numero di ora lavorate è calato dalle 11,6 miliardi del 2008 alle 10,9 (meno 5,8%), facendo così diminuire le cosiddette Unità di lavoro annue (Ula), ovvero i posti di lavoro a tempo pieno e indeterminato, a tutto vantaggio (si fa per dire) di contratti precari, a termine e part time.